I festeggiamenti dei ministri del M5s dopo aver deciso di avere un deficit-pil al 2,4 per cento (Foto LaPresse)

Ecco la ruspa populista. Mai così tanti danni in così poco tempo

Renzo Rosati

Paralisi degli investimenti, disoccupazione prodotta dal decreto dignità, calo dei consumi fanno barcollare imprese e credito

Roma. “Mai così tanti dovettero così tanto a così pochi”, disse Winston Churchill il 20 agosto 1940 dei piloti della Royal Air Force che avevano difeso l’Inghilterra dai raid tedeschi. Se il paragone non sembrasse oltraggioso, si potrebbe dire del governo gialloverde che mai così tanti danni furono fatti in così poco tempo da così pochi. Con la bocciatura europea della legge di Bilancio, e con quella in arrivo dai mercati, lo scenario è questo: Luigi Di Maio e Matteo Salvini insistono (il primo) che “ascolteremo tutti ma non arretriamo di una virgola sulla difesa del reddito e pensione di cittadinanza, sul diritto alla pensione, sulla volontà di cambiamento degli italiani”; e (Salvini) “ora aspettiamo la lettera di Babbo Natale”.

 

Così almeno in apparenza, la missione di Giuseppe Conte, sabato sera a cena da Jean-Claude Juncker, appare svuotata da margini di trattativa e destinata al fallimento. Sennonché gli stessi vicepremier di M5s e Lega sono a loro volta e sempre più tigri di carta. La manovra la stanno smontando sottobanco, ognuno le misure bandiera dell’altro: Armando Siri, sottosegretario leghista e consigliere economico di Salvini, bocciato il potenziamento dei centri per l’impiego che dovrebbero erogare i redditi di cittadinanza, e che nel piano grillino devono assumere 25-50 mila addetti. Secondo Siri i fondi (9 miliardi) andrebbero erogati alle aziende per ricercare e formare i beneficiari del sussidio. L’intento di rimediare ad una delle più evidenti carenze dei gialloverdi, l’avere completamente trascurato le industrie, è evidente.

 

Altrettanto il livello provocatorio della proposta, che mina il carattere “popolare” e “di cittadinanza” dell’assistenza. Quanto all’altro pilastro della manovra, le pensioni con quota 100, l’inghippo è che si andrà in pensione anticipata rispetto alla riforma Fornero, prenderà con minori contributi un assegno più basso. La corsa al ridimensionamento prosegue con il via libera alle grandi opere, dopo il bluff della revisione costi-benefici by Danilo Toninelli: dopo Tap, Ilva, Pedemontana veneta, ora il Terzo valico; magari con qualche altro spoil system si potrà completare anche la Tav. Meglio così, se Salvini e Di Maio abbaiano ma non mordono? Magari.

 

I danni già fatti sono enormi, e anche se la manovra venisse apertamente modificata, riportare le lancette al maggio scorso appare impossibile. Il fiasco del Btp Italia è l’ultimo segnale. Se nel 2019, con 9 miliardi in più da finanziare per il maggior deficit, andranno a vuoto altri collocamenti l’Italia si attirerà lo stigma di paese insolvente, e finirà davvero in balìa della speculazione, altro che George Soros. Da luglio, potranno arrivare i declassamenti delle agenzie che nel 2018 hanno portato gli outlook da stabile a negativo (Standard & Poor’s, Fitch) o che hanno già declassato il rating lasciando l’outlook stabile (Moody’s): in quel caso sarà arduo per le obbligazioni pubbliche e private ottenere credito. Lo spread ben oltre quota 300 è considerato “sotto controllo”: i 200 punti che sono costati questo governo sono poco più di un vuoto a perdere.

 

Nel frattempo su 4.500 miliardi di patrimoni finanziari privati quelli lasciati liquidi hanno raggiunto i 1.500, una soglia mai toccata. La grande incertezza delle famiglie e smentisce il refrain degli “italiani che meritano rispetto” agitato da Salvini. Se proprio gli italiani sono i primi a non crederci di quale rispetto si parla? Ma i soldi che non affluiscono al mercato, il credito che si restringe, la paralisi degli investimenti, la disoccupazione prodotta dal decreto dignità, il calo dei consumi, assieme ai fattori esterni a cominciare dal rallentamento della Germania, stanno mettendo in ginocchio il nord. Mentre al Sud, secondo l’associazione per lo sviluppo industriale del Mezzogiorno (Svimez), la Campania attende il 30 per cento dei sussidi, 3,1 miliardi. Questi sono i danni già inflitti a un paese che, sia pure in ritardo, riassaporava la normalità. Si credono Churchill, sono dei simil-Chavez.

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