Salvatore Rossi. Foto LaPresse

Le imprese non vivono in una bolla. F.to Rossi (Banca d'Italia)

Maria Carla Sicilia

“Promuovere concorrenza e innovazione non è di destra o di sinistra è semplicemente razionale”, dice il direttore generale

Roma. Cercando oltre confine le cause che influenzano negativamente la nostra economia, il governo rischia di perdere di vista cosa può fare per sbloccare il potenziale inespresso delle imprese italiane. Il sistema imprenditoriale non vive infatti in una bolla e si lascia direttamente condizionare dalle scelte politiche, sia quelle propriamente industriali che le altre capaci di impattare indirettamente sul settore. Così il direttore generale di Banca d’Italia, Salvatore Rossi, ha inquadrato bene la dimensione del problema parlando al forum annuale della Media impresa italiana oggi a Como.

 

Rossi ha spiegato che il tessuto eterogeneo dell’economia italiana richiede livelli diversi di interventi. Ma c’è un aspetto su tutti che può giovare al sistema intero e riguarda il superamento dei numerosi vincoli che deprimono l’attività economica. Il riferimento non è solo a strumenti come il credito d’imposta o l’abbattimento delle barriere amministrative per le start up, che pure sono stati fattori capaci di aumentare il valore e la produttività delle imprese, ma anche a ciò che riguarda il peso della burocrazia e il malfunzionamento della giustizia che – come ha ricordato Rossi – sono tra i principali ostacoli allo sviluppo italiano insieme alla mancanza di concorrenza che penalizza alcuni settori produttivi. L’obiettivo finale dovrebbe essere quello di appianare il livello della crescita economica dell’Italia – pari in media al 10 per cento negli ultimi vent’anni – con quello degli altri paesi (guardando all’area Ocse, il 70 per cento). Non va dimenticato, infatti, che a caratterizzare buona parte dell’ecosistema delle imprese italiane è la dimensione medio piccola e la gestione familiare delle attività. Tratti che talvolta limitano l’attitudine all’innovazione e all’internazionalizzazione, penalizzando la capacità di essere competitivi, e che possono costituire un terreno, anche elettorale, di facile retorica sovranista. Eppure l’alternativa c’è ed è superare i provincialismi con una politica industriale che fornisca al paese “infrastrutture moderne, materiali ma soprattutto immateriali”. “Come si può non soccorrere con fondi pubblici un lavoratore a rischio licenziamento o non proteggere bottegai e artigiani contro nuovi entranti malintenzionati? – si è chiesto Rossi – Il problema è come lo si fa”, ha aggiunto. “Non è un obiettivo di destra o di sinistra – quello di promuovere più concorrenza nei diversi settori dell’economia – è semplicemente razionale”.

 

“La sorte dell’Italia si gioca sulla possibilità che un numero crescente di queste imprese – quelle che faticano a espandere il proprio perimetro e la propria dimensione produttiva – navighi verso il gruppo di testa – composto da aziende di successo, con una struttura finanziaria robusta – piuttosto che scivolare verso quello di coda”, ha detto Rossi. Su questo campo deve agire la politica se vuole che l’economia italiana, la nona al mondo per dimensione del pil, torni a essere più vitale, efficiente e vaccinata da quella che oggi – e da venti anni almeno, ha notato Rossi – è la sua malattia: l’incapacità di tenere il passo con gli altri paesi con cui si confronta. Il rischio, al contrario, è quello di soffocare il tessuto produttivo isolandolo, una prospettiva che preoccupa chi sa che per crescere è necessario restare in un contesto europeo invece che tagliare i ponti. “Il governo sta giocando d’azzardo sulla nostra pelle e ci sta isolando dal mondo”, ha detto ieri il presidente di Confindustria Vicenza, Luciano Vescovi, commentando gli sviluppi sulla manovra. Il messaggio alla politica da Rossi e, ancora una volta, dalle imprese del nord produttivo, è chiaro: non viviamo in una bolla, in una bolla possiamo morire.