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L'economia vacilla ma i populisti alzeranno la posta à la sudamericana

Guido Tabellini

Il pil è fermo, una crescita del pil all’1,5 è lunare. Ridurre il deficit è utile. Però Lega e M5s tireranno dritto, di nuovo

Ci sono riusciti. Sono riusciti a fermare l’economia italiana. L’arresto del pil nel terzo trimestre non è solo colpa del governo. Con una congiuntura internazionale debole, da inizio anno la domanda estera ha dato un contributo negativo alla crescita dell’Italia. Ma la politica economica del governo ha aggravato il colpo. Le invettive contro l’Europa e le scelte spericolate sulla finanza pubblica hanno spaventato gli investitori internazionali, i risparmiatori e le imprese italiane, distrutto ricchezza, fatto salire il costo del debito pubblico, avviato una stretta creditizia, scoraggiato gli investimenti e le assunzioni. Ora è tutto molto più difficile, e diventa concreto il rischio di una spirale avversa che ben conosciamo, di sfiducia, che alimenta la contrazione dell’economia reale, che aggrava la situazione della finanza pubblica, che genera ulteriore sfiducia.

 

E’ sempre difficile prevedere i punti di svolta, ma è molto probabile che stia cambiando lo scenario macroeconomico italiano. Nel mese di ottobre la produzione industriale è scesa dello 0,3 per cento rispetto a settembre. Nel settore manifatturiero le aspettative sono in peggioramento e vi è stato un accumulo indesiderato di scorte. Per il resto del 2018 probabilmente l’economia italiana ha smesso di crescere. E nel 2019? Le previsioni di consenso di una crescita intorno allo 0,9 per cento nel 2019 sono già diventate troppo ottimistiche. Se non rientreranno le tensioni sui mercati finanziari, non si può escludere che vi sarà una contrazione del pil nei primi mesi del 2019. In questa situazione, la previsione del governo che nel 2019 la crescita italiana raggiungerà l’1,5 sfiora il ridicolo.

 

Perché siamo arrivati a questo punto? La risposta più ovvia è che i partiti di governo dovevano mantenere le incredibili promesse fatte in campagna elettorale. Ma non è solo questo. Probabilmente i loro leader politici si sono anche fatti convincere dalle idee sbagliate di un piccolo gruppo di economisti, e hanno sottovalutato i rischi a cui andavano incontro. Alcuni sedicenti economisti che occupano incarichi istituzionali, insieme a qualche economista “alternativo”, vanno raccontando da tempo che in Italia una politica fiscale espansiva sosterrebbe la crescita, che l’Italia deve liberarsi dalla camicia di forza dei vincoli europei, che un maggior disavanzo farebbe scendere il debito pubblico rispetto al pil perché salirebbe il denominatore. Sono sciocchezze prive di fondamento. Quando il debito pubblico è ai livelli italiani, la priorità è farlo scendere. Aumenti del disavanzo sono controproducenti, perché generano il fondato timore che il debito non sia più sostenibile, e attraverso l’aumento dei tassi di interesse innescano una stretta del credito che strozza la domanda privata. Esattamente come sta succedendo. Ma per politici poco esperti e attenti ai sondaggi, l’idea che un maggiore disavanzo faccia bene all’economia può apparire seducente, anche se è in contraddizione con il buon senso e la conoscenza consolidata.

 

Adesso che le conseguenze delle scelte sbagliate del governo stanno diventando evidenti, che fare? Un governo responsabile ammetterebbe gli errori commessi, riformulerebbe il quadro macroeconomico su basi attendibili, e riporterebbe il disavanzo su una traiettoria compatibile con la discesa del debito pubblico e gli impegni presi con l’Europa. Questo farebbe tornare la fiducia sui mercati, la stretta creditizia si allenterebbe, e sebbene un po’ acciaccata l’economia italiana riprenderebbe a crescere. Il governo arriverebbe alle elezioni europee realizzando solo una parte del suo programma, ma dimostrando di avere a cuore le sorti del paese con senso di responsabilità e lungimiranza. Purtroppo è uno scenario politicamente implausibile. L’esperienza dell’America latina insegna che, quando si scontrano con la realtà economica, i governi populisti tipicamente alzano la posta in gioco.

 

Anziché correggere gli errori per riguadagnare la fiducia dei mercati, essi accentuano lo scontro con la comunità internazionale e isolano ancora di più il loro paese. Nei prossimi mesi scopriremo se questa esperienza si applicherà anche all’Italia. Purtroppo il proliferare di piani B e di teorie della congiura non lascia ben sperare. Probabilmente il governo tirerà dritto, magari rimandando di qualche mese l’avvio dei nuovi programmi di spesa. Ma un rinvio sarebbe inutile. Non farebbe guadagnare alcuna fiducia, perché rimarrebbe intatta la preoccupazione sulla sostenibilità futura del debito pubblico e sulle coperture della maggiore futura spesa corrente. Anzi, un rinvio vorrebbe dire allontanare nel tempo il debole stimolo ai consumi associato ai maggiori trasferimenti pubblici, con ulteriore scapito della crescita. Senza una svolta credibile nella politica di bilancio, è difficile che torni la fiducia sui mercati. E a un certo punto il peggiorare della situazione economica e la reazione dei mercati finanziari imporranno di alzare la posta in gioco.

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