Manifestazione davanti a Mirafiori (foto Imagoeconomica)

Memento per i laudatori tardivi di Rep. & Co.

Pietro Ichino

Quando Marchionne propose il suo piano industriale, il quotidiano romano fu il più importante tra i media a fare opposizione dura. Come riconoscere le “sviste” e come riparare (eventualmente)

Nel 2010, quando Sergio Marchionne propose ai lavoratori della Fiat il suo piano industriale, la Repubblica fu il più importante tra i media che si allinearono alla Fiom-Cgil in una opposizione molto dura contro quel progetto. Nei commenti apocalittici del sociologo-editorialista Luciano Gallino e nelle interviste trasudanti indignazione ai Rinaldini, Landini, Epifani e Camusso, per l’occasione uniti nella lotta contro il padrone delle ferriere – il quotidiano romano non esitava a qualificare come “attacco ai diritti fondamentali dei lavoratori” le tre deroghe al contratto nazionale che il piano industriale di Marchionne richiedeva alla controparte sindacale e come disumane le condizioni del lavoro organizzato secondo il nuovo standard Wcm (World Class Manufacturing).

     

Per fortuna i lavoratori della Fiat non diedero retta a Repubblica & Co.: decisero a maggioranza di scommettere su quel piano respingendo l’invito al “No” della Fiom. A cinque anni di distanza era già evidentissimo che i fatti davano loro ragione: la Jeep prodotta a Mirafiori triplicava le immatricolazioni, la 500X prodotta a Melfi era la più venduta del suo segmento, l’Alfa Romeo aumentava le vendite del 36 per cento e Pomigliano veniva premiato come lo stabilimento auto più avanzato in Europa non solo sul piano tecnologico, ma anche su quello ergonomico, cioè del benessere di chi lavora. Infortuni sul lavoro letteralmente azzerati. A quel punto sull’inserto di Repubblica Affari e Finanza – per la precisione, il 7 settembre 2015 – uscì un paginone interno: “Auto, la Fiat americana fa bene all’industria italiana”; “il cambio di pelle dell’industria dell’auto italiana è stato ed è una delle condizioni della sua sopravvivenza alla tempesta della crisi”.

     

Allora avremmo preferito che questo titolo venisse pubblicato sulla prima pagina del quotidiano e non dell’inserto, con la stessa evidenza con cui erano state pubblicate le invettive contro il piano di Marchionne cinque anni prima. L’intera prima pagina e diverse pagine nell’interno la Repubblica invece gliele dedica ora, e per due giorni di fila (domenica e lunedì), all’epopea del salvatore della grande impresa automobilistica torinese, nel momento della drammatica uscita di scena. Ma né in prima, né nelle successive, si trova una sola riga nella quale il quotidiano fondato da Eugenio Scalfari riconosca il clamoroso errore commesso nel 2010, all’inizio di quell’epopea.

    

Il buon giornalismo è fatto anche di coerenza e capacità di autocritica: due virtù che si richiedono a giornali e giornalisti esattamente nella stessa misura in cui essi – con piena ragione – le rivendicano quotidianamente dai politici e dai sindacalisti.