Perché è il caso per gli italiani di evolvere in “market people”

Alberto Brambilla

Per anni i titoli di stato sono stati la principale destinazione del risparmio delle famiglie. Ora però i risparmiatori italiani sono chiamati a superare la loro strutturale avversione al rischio

Roma. Come molti altri paesi emersi dalla crisi del debito europea, anche in Italia si ravvisa un aumento dell’appetito per il rischio negli investimenti da parte di famiglie e operatori finanziari. Ma c’è una peculiarità importante, sottolineata da Plus 24 del Sole 24 Ore, per cui sulla base dello stacco delle cedole la settimana scorsa il dividendo medio delle società quotate a Piazza Affari è stato pari al 3,67 per cento e ha doppiato il rendimento del Btp decennale fermo all’1,8 per cento. E mentre si può prevedere un rendimento medio in aumento in doppia cifra anche nei prossimi tre anni è altrettanto facile prevedere che difficilmente i titoli di stato decennali renderanno più del 2 per cento nello stesso periodo. Per anni i titoli di stato sono stati la principale destinazione del risparmio delle famiglie, un investimento sicuro e remunerativo, che era valso agli italiani il soprannome di “Bot people”, in senso dispregiativo dal sapore retrò se visto dai commentatori di stanza nella City. La congiuntura di alto rendimento dell’azionario e basso delle obbligazioni sovrane è il prodotto di due eventi. Il primo è la corsa di Piazza Affari, ai massimi dal 2009, in linea con i listini occidentali in rally anche in questo primo trimestre (solitamente periodo di vendite). Il secondo, essenziale e profondo, è che stimolare l’economia reale e rompere il legame tra banche e stato è uno dei principali obiettivi perseguito dalla Banca centrale europea con il Quantitative easing che, con acquisti multimiliardari di bond dell’Eurozona in essere dal 2015, ha anestetizzato il mercato dei titoli sovrani appiattendo i rendimenti.

 

Quando Mario Draghi annunciò di “fare tutto il necessario per salvare l’euro” aggiunse che “per molti anni l’euro ha volato bene come un calabrone senza che si sapesse come. Ma ora è venuto il momento di evolversi e l’euro deve diventare una vera ape”. Allo stesso modo i risparmiatori italiani hanno investito senza sapere bene come ed è il caso di diventare “market people” se non altro per far fruttare l’investimento del loro reddito. Per farlo alcune caratteristiche delle famiglie italiane dovrebbero essere superate a partire dalla strutturale avversione al rischio, la scarsa cultura finanziaria, la generale diffidenza verso gli intermediari e la tentazione dell’investimento fai-da-te all’inseguimento di alti e facili ritorni. In parte queste abitudini stanno cambiando. L’investimento in azioni degli italiani è basso rispetto agli altri europei (il 2 per cento della ricchezza contro il 3,4 dei francesi, il 4,2 dei tedeschi e il 4,4 degli inglesi). Secondo Banca d’Italia il portafoglio sta cambiando, ma non in modo eclatante. Da un lato, crescono gli investimenti in prodotti del risparmio gestito, in particolare in fondi comuni. Dall’altro, le obbligazioni bancarie non sono rinnovate dopo la scottatura delle ristrutturazioni bancarie attraverso bail-in che ha colpito questa categoria.

 

Tuttavia, dice sempre Banca d’Italia, nel 2017 la ricchezza finanziaria (lorda pro capite superiore ai 70 mila euro) è investita in attività poco rischiose e facilmente liquidabili. Infatti la quota di titoli pubblici detenuta dalle famiglie l’anno scorso è rimasta stabile (al 5,4 per cento) mentre sono aumentati i depositi bancari. Data l’avversione generale alla finanza, se si spiegasse agli italiani che anche il deposito in conto corrente è un prestito alla banca probabilmente non lascerebbero giacere il gruzzolo. In parte l’aumento della raccolta (quasi 11 miliardi) dei piani individuali di risparmio a lungo termine (Pir) ha favorito la smobilitazione di risorse private e l’avvio di fondi di investimento specializzati nei mercati azionari e obbligazionari italiani rivolti a imprese piccole e medie. Intanto moltiplicano le iniziative di banche e private banker per gestire i risparmi. E’ però presto per dire, come fa il saggio “La fine del Btp è la rinascita dell’Italia” (GueriniNext, 2015), che l’investimento principe degli italiani è morto. Tuttavia, almeno finché la Bce non ritirerà gli stimoli, il mercato conviene più dello stato.

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.