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Chi comanda e chi paga la prima fabbrica di batterie d'Europa

Maria Carla Sicilia

Un ex manager di Tesla vuole fare concorrenza a Musk con 52,2 milioni di euro della Bei

Il progetto europeo di sviluppare una linea di produzione di batterie per i trasporti e la rete elettrica è iniziato ieri, quando la Banca centrale europea ha deciso di investire 52,5 milioni di euro nello sviluppo di un impianto pilota in Svezia. Il piano di cui il finanziamento fa parte, svelato qualche mese fa dal vicepresidente per l’Unione dell’energia, Maroš Šefčovič, è ambizioso e prevede di creare una sorta di Airbus delle batterie aiutando l'industria del settore con agevolazioni fiscali. A differenza del costruttore di aerei questa volta non ci sarà un unico grande consorzio, come lasciato intendere inizialmente, ma una rete di imprese sparse per l'Europa, ha detto ieri Šefčovič. Sul piatto ci sono circa 2 miliardi di euro e migliaia di posti di lavoro.

  

L'azienda proprietaria dell'impianto svedese è Northvolt, fondata e diretta da un ex manager di Tesla, Peter Carlsson, che non potendo superare né sui tempi né sulle dimensioni dell'impianto di Elon Musk ha deciso di volerlo sfidare sull'impatto ambientale. Quella di Northvolt vuole essere infatti la batteria “meno inquinante al mondo”, con emissioni di gas serra limitate e una forte vocazione al riciclo dei materiali. L'impianto pilota sarà avviato nel giro di tre mesi, poi la produzione sarà spostata in un sito più grande dove l'azienda punta a raggiungere 32 GWh di capacità all'anno, diventano così la prima gigafactory d'Europa e impiegando a regime 2.500 persone.

  

Riuscire a competere con i big americani e asiatici che già da anni producono batterie non sarà un'impresa semplice. Tesla con la sua gigafactory in Nevada ha in programma di produrre 36 GWh entro il 2020 e molte aziende come Panasonic, LG e Samsung rivestono oggi un ruolo dominante sul mercato. D'altra parte le politiche europee che spingono sullo sviluppo della mobilità elettrica e delle energie rinnovabili – che necessitano di meccanismi di bilanciamento sulla rete – richiedono un uso massiccio di sistemi di accumulo e l'Unione europea con le sue imprese non vuole restare dipendente dalle importazioni. Secondo Šefčovič la domanda di celle a batteria in Europa raggiungerà 200 gigawattora entro il 2025 generando un mercato dal valore di 250 miliardi di euro all'anno. “Vista la portata e la velocità di sviluppo richieste, nessun singolo attore può farlo da solo – ha detto Šefčovič – L'Alleanza europea delle batterie fornirà un ombrello per potenziali partnership su tutta la filiera”.

  

Secondo Bloomberg quest'anno le strade europee potrebbero vedere una crescita importante di veicoli elettrificati grazie al mercato tedesco, potenzialmente pronto a diventare il terzo al mondo per numero di vetture ibride e plug-in dopo Cina e Stati Uniti. Già nel 2017 le immatricolazioni della Tesla Model 3, completamente elettrica, hanno quasi raggiunto quelle della Porsche Panamera e secondo l'associazione dell'industria automobilistica tedesca Bnef nel 2018 le ibride e le plug-in potrebbero crescere ancora del 64 per cento. A fare la differenza, secondo l'analisi, è la rete capillare di colonnine di ricarica su cui il governo e le aziende automobilistiche stanno investendo, insieme agli incentivi (che fino a ora non hanno spostato di molto il numero delle immatricolazioni) e a un rinnovato sentimento di sfiducia verso il diesel.

  

Ora l'Ue sembra voler andare alla base della filiera per sfruttare l'inversione di tendenza industriale che le sue stesse politiche vorrebbero promuovere. E che in alcuni casi, per esempio quello tedesco, iniziano a dare risultati ponendo il problema dell'approvvigionamento dei componenti. Le case automobilistiche cercano di chiudere accordi per potere programmare gli investimenti nell'elettrico; l'ultimo è quello di Bmw che ha annunciato di avere tra le mani un contratto per il rifornimento di litio e cobalto. 

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