I nuovi obblighi per la finanza danno i super poteri alla Consob di Nava

Mariarosaria Marchesano

Informazioni puntuali e potere d’interdizione al regolatore per salvaguardare i risparmiatori

È come se d’ora in poi ci fossero dei carrarmati schierati per rafforzare la tutela dei piccoli investitori. Non è un’esagerazione perché è proprio questo il senso delle nuove regole sulla vendita dei prodotti finanziari entrate in vigore in Italia e negli altri paesi Ue dal primo gennaio 2018 (solo Inghilterra e Germania le hanno già anticipate in parte). Direttive europee come Mifid II e Priipsnon sono solo materia per specialisti. In un paese come l’Italia, tra il primo e il secondo posto al mondo per ammontare di risparmio privato (5200 miliardi di euro, il doppio del debito pubblico), l’attuazione di questa riforma è destinata a incidere sui rapporti di forza all’interno del mercato. Le nuove regole sono state pensate per attribuire più responsabilità agli intermediari finanziari e per conferire inediti poteri d’intervento agli organismi di vigilanza dei paesi che operano interconnessi sotto la regia dell’Esma, l’authority europea. E la Consob italiana, al cui vertice (non a caso?) è stato designato Mario Nava, economista con lunga esperienza alla direzione generale finanze della Commissione Ue, si prepara a giocare una partita in attacco nella fase in cui il rapporto di fiducia tra cittadini e sistema finanziario è ai minimi storici.

 

Che cosa cambia con le nuove regole? Tutto, in pratica, almeno sulla carta. Proviamo a riassumere a grandi linee. Primo: chi produce polizze, obbligazioni, piani di accumulo, pir, titoli derivati, warrant e così via dovrà tenere ben presente a quale target (cioè il cliente finale) si rivolge sin dalla fase di progettazione. Quelli che fabbricano beni di consumo fanno così da sempre, non si vede perché a questo elementare principio non debba adeguarsi l’industria del risparmio. La cosiddetta “ingegneria finanziaria”, negli ultimi anni fin troppo creativa, dovrà fare così uno sforzo di semplificazione e di trasparenza. Secondo: chi vende questi prodotti, soprattutto le reti bancarie, ma anche quelle postali, i promotori e gli operatori on line, è tenuto a valutare se sono adeguati al profilo di rischio dell’acquirente che arriva allo sportello (ma lo stesso vale anche se l’operazione avviene su una piattaforma web). In sintesi, gli intermediari finanziari sono obbligati a conoscere i connotati dei clienti e ad agire nel loro interesse. Un dato aiuta a capire di cosa stiamo parlando: il 60% delle persone che valuta prodotti finanziari non legge l’informativa contrattuale e il 27% investe senza aver letto prospetti spesso troppo lunghi e complessi. Ma anche quando i clienti sono “analfabeti finanziari”, questo non autorizza gli intermediari a rifilare loro delle fregature. Perciò è stato introdotto il Kid, che sta per key investment document, cioè una specie di “bugiardino” che in massimo tre pagine spiega in modo semplice i concetti chiave: che cos’è il prodotto, a cosa serve, quanto rende, quanto costa esattamente (evidenziando tutte le commissioni) e quali rischi presenta. Se, per esempio, esiste il pericolo di perdere l’intero capitale investito, dovrà essere scritto con chiarezza anche se tale ipotesi dovesse rappresentare lo scenario peggiore. Tutto questo, e altro, si chiama “product governance” e tra i suoi obiettivi c’è la tutela del contraente più debole (insomma, i piccoli risparmiatori non dovrebbero essere più considerati alla stregua di “parco buoi”).

 

Fin qui la prima parte della rivoluzione, che misurerà anche la capacità di banche e reti distributive italiane di competere con i gestori del risparmio esteri, soprattutto di estrazione anglosassone, abituati a convivere con questi paletti preservando i livelli di redditività. Ma sarà la “product intervention” a dare nelle mani delle autorità di vigilanza un vero “bazooka” come sottolineato senza troppe riserve anche dai dirigenti Consob che hanno tenuto il corso di Milano. Che cosa vuol dire? Entra nell’armamentario delle authority nazionali ed europee (comprese, quindi, l’Esma e l’Eba) il potere di divieto dei prodotti finanziari considerati opachi e complessi. E Mario Nava sarà a capo di una Consob con facoltà di intervento sul mercato senza precedenti. Cosa potrà vietare? La diffusione di prodotti “tossici” e di pratiche finanziarie scorrette, che si trovino già sul mercato o che siano in fase di lancio (potere ex ante ed ex post, ma più ex ante stando alle parole pronunciate dallo stesso Nava nei giorni scorsi). Il divieto scatta quando queste pratiche sono ritenute “pregiudizievoli per la tutela degli investitori, l’ordinato funzionamento ed integrità dei mercati ovvero per la stabilità del sistema finanziario”. Intendiamoci, si tratta di una misura di ultima istanza e nel caso in cui intendesse esercitarla, Nava dovrebbe informare un mese prima le autorità europee competenti (in casi urgenti, però, sono sufficienti 24 ore di preavviso per bloccare la “fregatura”). Fosse esistita una regola così ai tempi dell’immissione dei bond Cirio e Parmalat sul mercato retail o della vendita di obbligazioni subordinate delle banche venete …

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