Foto Beyond Coal & Gas Image Library via Flickr

Rivoluzione, ora i sauditi vanno a fare shopping di shale gas dagli americani

Rolla Scolari

Secondo il Wall Street Journal Riad avrebbe iniziato colloqui preliminari con diverse realtà del settore energetico degli Stati Uniti. Portassero ad accordi, aprirebbero un’epoca inedita per gli equilibri energetici  

Milano. “Gli Stati Uniti sono nati come un paese di commercio navale, e due secoli prima del boom petrolifero il 20 per cento dei loro scambi era con il medio oriente”, spiegava nel 2007 a un forum del Washington Institute Michael Oren, storico israeliano nato negli Stati Uniti e autore di un libro sulla storia dell’America nel Levante, “Power, Faith, and Fantasy: America in the Middle East”. Abbiamo letto per decenni come la politica estera americana abbia guardato a est, al medio oriente e oltre, seguendo i propri interessi energetici e dovendo soddisfare i consumi di 325 milioni di abitanti. Poi, tra il 2014 e il 2015, mentre il prezzo del greggio al barile crollava anche per eccesso di offerta, lo shale oil – il petrolio estratto da rocce bituminose – ha cambiato il destino del mercato, e un po’ quello della politica globale. L’ultimo report dell’Agenzia internazionale dell’energia, il World Energy Outlook, racconta come gli Stati Uniti siano destinati a crescere come produttori di shale oil e shale gas a un tasso record per i prossimi otto anni, per diventare nel 2025 un paese esportatore. L’ultima volta che l’America ha esportato più petrolio di quello importato era il 1953. In una sorprendente inversione dei ruoli, dopo decenni di flusso contrario, l’America potrebbe avere presto tra i suoi clienti “importatori” l’Arabia Saudita, che detiene un terzo delle riserve mondiali di petrolio.

 

Scriveva pochi giorni fa il Wall Street Journal che i sauditi avrebbero iniziato colloqui preliminari con diverse realtà del settore energetico americano – tra queste la Tellurian, compagnia di Houston nell’ambito del gas – e in società attive in zone di estrazione del Texas. I sauditi sarebbero interessati sia ad acquisire asset di compagnie americane sia nell’importazione di gas. Le rivelazioni arrivano mentre l’Aramco, mega compagnia petrolifera statale saudita, la più vasta del mondo con una produzione di 10,3 milioni di barili al giorno, si prepara a una rivoluzione di diversificazione, all’origine della quale c’è il giovane e ambizioso principe ereditario, Mohammed bin Salman (oggi, l’87 per cento delle rendite del regno deriva dal suo greggio).

 

In questo contesto, il principe bin Salman vorrebbe fare della compagnia nazionale una struttura più elastica, con asset energetici anche al di fuori dei confini nazionali. E qui si inseriscono le più e meno recenti mosse di Aramco. Già l’anno scorso, la compagnia ha acquisito asset nel settore energetico degli Stati Uniti, tra cui la più grande raffineria del Nord America, quella di Port Arthur, in Texas. Con una struttura del genere, Riad, oggi la seconda fonte di importazione di petrolio dell’America, mira a espandersi sul mercato locale. L’Arabia Saudita guarderebbe però oltre le raffinerie: allo shale oil e soprattutto allo shale gas americani. Se i colloqui preliminari rivelati dal Wall Street Journal portassero ad accordi, aprirebbero un’epoca inedita per gli equilibri energetici. L’Arabia Saudita finora non ha mai importato né petrolio né gas. Comperare gas americano permetterebbe a Riad di dedicare le importazioni alla produzione di elettricità per i suoi 30 milioni di abitanti e utilizzare invece il greggio estratto soltanto per l’esportazione. La caccia “di accordi energetici nell’America dello shale”, scrive il Wsj, rappresenterebbe “uno spartiacque” per l’Arabia Saudita: “E’ stato il maggior paese esportatore al mondo di greggio per decenni, ma il boom della produzione americana ha fatto traballare il regno abbassando i prezzi e obbligando il governo a ripensare la propria dipendenza dalle rendite legate alle enormi riserve petrolifere”. Il nuovo corso energetico e la rivisitazione economica che vorrebbe imporre il delfino di re Salman potrebbero avere anche un impatto sociale. Il principe vorrebbe aprire il paese agli investitori. Tra i suoi progetti, ci sarebbero tra l’altro la creazione di un business dell’intrattenimento locale e l’accesso al mercato del lavoro anche alle donne, pesantemente discriminate e che fino a pochi mesi fa non potevano neppure guidare.