La sede di Mps (foto LaPresse)

Così la grande baruffa su Banca d'Italia diventa battaglia mediatica

Alberto Brambilla e Marco Cecchini

E’ possibile dare versioni opposte di una cronaca? Sì, se si tratta della commissione bancaria. Ricognizione

Roma. “La verità è importante ora più che mai”, recita un recente claim pubblicitario del New York Times che dopo l’elezione di Donald Trump ha compreso perché interpretare i fatti è in fondo più “onesto” del pretendere – sarebbe più appropriato il falso amico in inglese, to pretend, ovvero fingere – di riportarli in modo asettico. Se questa consapevolezza ha dunque contagiato il quotidiano che da metà Ottocento si considera custode dell’“objective journalism”, è addirittura possibile offrire ricostruzioni opposte di un evento? Pare di sì, soprattutto se l’evento e la cronaca sono particolarmente “divisivi”. E’ il caso della commissione d’inchiesta sulla crisi bancaria. Dopo gli strascichi polemici successivi al duello di pareri tra Consob e Banca d’Italia, martedì è arrivata l’audizione dei procuratori di Milano, Giordano Baggio e Stefano Civardi, che hanno indagato sulla crisi del Monte dei Paschi di Siena. La commissione ha insistito sull’operato sia di Banca d’Italia – l’autorizzazione dell’incauto acquisto di Antonveneta dal Santander da parte di Mps – sia su quello di Consob – l’ondivaga posizione sulla contabilizzazione dei derivati che suscitarono scandalo alla vigilia delle elezioni 2013.

 

La storia un po’ si ripete, come si vede dalla strumentalizzazione mediatica delle vicende bancarie in campagna elettorale: allora e oggi Mps è sempre al centro. Ma il riepilogo storico della vicenda – che la commissione si propone di accertare senza pecche – cambia nel discorso mediatico riguardo Banca d’Italia, a lungo considerata istituzione infallibile e custode della stabilità finanziaria. Secondo la titolazione del Sole 24 Ore, i pm milanesi hanno riscontrato “lacune nella vigilanza di Bankitalia e Consob”. Invece secondo quella del Corriere della Sera “le carte di Bankitalia erano chiare”. Il passaggio chiave è lo stesso per entrambi i giornali. “Dalla lettura delle ispezioni di Bankitalia emergono giudizi negativi” (Sole). Che “ci fossero parecchie cose che non andavano leggendo le ispezioni di Bankitalia era più che evidente” (Corriere). Le dichiarazioni vengono interpretate dal quotidiano degli industriali come l’indizio che Palazzo Koch conosceva bene la situazione di Mps ma nonostante ciò autorizzò l’operazione Antonveneta. Per il quotidiano di Via Solferino tale sentenza invece significa che l’operato dell’Autorità è stato corretto (“carte chiare”), almeno dal punto di vista formale. Per usare una metafora sportiva, il Sole addita il preparatore atletico che, durante una competizione di alto livello, manda in campo un giocatore nonostante un’infiammazione muscolare. Mentre il Corriere esalta la bravura del preparatore che ha scoperto l’acciacco. Il Corriere lascia quindi trasparire la volontà di non nuocere a Banca d’Italia. E l’ha dimostrato anche in un’analisi di lunedì 13 novembre quando ha imputato alla politica, al neonato governo di Matteo Renzi, di avere approvato il bail-in senza accorgersi delle criticità, salvo poi lamentarsene. In quel frangente, in realtà, anche Banca d’Italia, attraverso il governatore Ignazio Visco, alzò la voce ad approvazione avvenuta del bail-in e a sua imminente applicazione molto più di quando la nuova direttiva europea era in gestazione e quindi modificabile. Tanto che vennero respinte le richieste di un “periodo transitorio” prima dell’applicazione effettiva avanzate dalla delegazione italiana in Europa. Banca d’Italia poteva far valere il suo peso o manifestare le sue perplessità al Parlamento con maggiore insistenza.

 

Chi ha dimostrato di non considerare Banca d’Italia un’istituzione intoccabile per costituzione, come fosse protetta dal dogma pontificio, è Franco Bechis di Libero, quotidiano che non disdegna i toni scandalistici: nei giorni di maggior clamore mediatico – con l’attacco del Pd renziano a Visco e a ridosso dell’imminente rinnovo del governatore – ha rivelato che Palazzo Koch aveva promosso di funzione e di stipendio 1.706 dipendenti con i sindacati addirittura in collera perché scontenti (s’aspettavano un maggiore numero di promozioni). Sindrome di un braccio autoreferenziale della Pubblica amministrazione, non certo esempio di eleganza istituzionale.

 

Tornando alla commissione bancaria e a Mps, le dichiarazioni più rilevanti dal punto di vista storico dei pm auditi si riferiscono al grande “scandalo” Antonveneta, dei derivati, e le conseguenze per la banca. La ricostruzione dei pm è che il dissesto fu generato dalla grande esposizione in titoli di stato e dalle sofferenze, mentre i derivati (Alexandria, Santorini ecc.) sono stati “più un effetto che la causa dei problemi”. Della famigerata maxitangente pagata da Mps attraverso il sovrapprezzo per l’acquisto di Antonveneta “non ci sono evidenze”, hanno ribadito i pm. L’operazione fu una “scelta infelice”, ha detto il sostituto procuratore Baggio. E’ poi vero che alcuni manager fecero la cresta su altre operazioni, lucrando sulle commissioni; ladri di polli. La ricostruzione offerta in commissione coincide in sintesi con un articolo del Foglio del 2013 (“Lo scandalo inventato nella banca degli scandali”). Repubblica che realizzò lo scoop tangentizio (“Mps, sospetto mazzette per 2 miliardi nell’acquisto di banca Antonveneta”) nella cronaca di ieri non ha evidenziato la questione, invero oramai nota.

 

La Stampa ha ricostruito i fatti sine ira ac studio pur con qualche esercizio di equilibrismo. All’indomani del secondo round di audizioni di alti funzionari Consob e Bankitalia sulle carenze della vigilanza di giovedì scorso, il quotidiano torinese indica il bersaglio grosso: “Banche l’allarme che Draghi ignorò”, ovvero una nota del 2009 della Vigilanza di Banca d’Italia che avvertiva del prezzo troppo alto al quale venivano vendute le azioni di Popolare di Vicenza ai risparmiatori. Ricostruzione che ha “mandato di traverso il caffè” al governatore della Banca centrale europea, all’epoca a Roma, il quale ha replicato alla Stampa, attraverso suoi collaboratori, che “è stato fatto quel che andava fatto”. Ovvero che Banca d’Italia chiedeva informazioni a Vicenza, la quale rispondeva in modo evasivo, motivando successive ispezioni puntuali; quindi nessun allarme è stato ignorato. Se non fosse per il bilanciamento della posizione della Stampa – che ha poi illuminato il conflitto sotteso all’attacco a Banca d’Italia, quello tra Visco e Renzi su Banca Etruria, attraverso un retroscena da dietro “le finestre di Palazzo Koch rimaste accese fino a tardi” – si potrebbe azzardare una sintonia di intenti con il Movimento 5 stelle, che non manca giorno per chiedere la convocazione di Mario Draghi in commissione Bicamerale.

 

I giornali stranieri invece non sparano a palle incatenate sul capo della Bce. Nemmeno quelli tedeschi e olandesi che pure sono notoriamente contrari alla politica monetaria espansiva di Draghi. E’ lui stesso ad avere sottolineato questa tendenza martedì a un convegno della Bce sulla comunicazione delle banche centrali: “Certi giornali – ha detto – sono protetti dallo scrutinio internazionale perché usano la lingua nazionale e mandano costantemente da anni, anni e anni lo stesso messaggio a prescindere dalla realtà”. Nel caso della commissione sul credito, la stampa estera sembra considerarla una questione di cortile italiano, al pari dei mercati. I titoli più colpiti dalla correzione di Borsa di questi giorni appartengono all’economia reale, costruzioni, energetici, Difesa, (Astaldi, Trevi, Saipem, Leonardo). I titoli finanziari, preponderanti a Piazza Affari, hanno avuto cali ma non sono spazzati dalle vendite, per ora.

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