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Avanti con il retrovisore

Redazione

Aziende in boom e rischio che la crescita rallenti. Ma chi se ne cura?

L’export italiano sta volando: nei primi dieci mesi del 2017 realizza 13 miliardi in più rispetto al record del 2016. Siamo a 162,8 miliardi, a dicembre si sfioreranno i 200. Dunque aumenterà l’avanzo commerciale al netto dell’energia, che già lo scorso anno ha raggiunto i 91 miliardi di dollari, facendo dell’Italia il quinto esportatore mondiale dietro Cina, Germania, Corea e Giappone. La crescita è su quasi tutti i mercati (fanno eccezione quelli mediorientali), con percentuali a due cifre negli Stati Uniti e nel resto d’America, in Cina, Giappone, Russia, Africa e nell’Europa extra Ue. Migliorano le performance dell’intero arco manifatturiero (meccanica, auto, abbigliamento, farmaceutica, agroalimentare). Il boom sta facendo uscire dal guscio le Pmi. E che Industria 4.0 non sia slogan ma realtà lo dimostrano i dati del Politecnico di Milano sul 2010-2015 (manca il biennio record): chi ha innovato ha migliorato dell’8 per cento il fatturato, del 37 il margine lordo, del 47 la redditività degli investimenti, del 25 il valore aggiunto per dipendente. La lettura di questo insieme di cifre è semplice: se l’Italia vuole continuare a beneficiare di simili performance deve investire in innovazione e soprattutto in formazione. Il modello Milano di sinergia tra aziende, università e istituzioni pubbliche deve estendersi il più possibile.

 

Proprio ieri la Banca d’Italia ha avvertito che il rischio per il paese sta nel rallentamento dell’economia, e non in un aumento dei tassi della Banca centrale europea. L’argomento dovrebbe essere all’attenzione del futuro governo. Invece di che cosa si parla in campagna elettorale? Principalmente delle pensioni, con promesse roboanti tanto da sinistra quanto dalla Lega e da Forza Italia. Ma c’è anche il simpatico sovranismo delle dentiere propugnato dal Cav.: bonus pubblici per far sì che gli anziani non debbano comprarsele in Bulgaria. La gauche antirenziana ha come ragione sociale lo smantellamento del Jobs Act, mentre discute di robotizzazione che, va da sé, disumanizza il lavoro. I grillini hanno come pilastro il reddito di cittadinanza, soldi a tutti pagati da tutti, che contrariamente a quanto dicono non esiste in nessun altro paese (magari confondono con il salario minimo, capita spesso ai Cinque stelle). Tutti poi dimentichi en passant di una pressione fiscale al sesto posto tra i paesi industrializzati, lisciano il pelo ai sindacati chiedendo di dirottare le risorse sul pubblico impiego. La politica avanza con il retrovisore. Più pensioni e dentiere per tutti: di certo non è un bell’investimento sui giovani, sulla didattica, sulla formazione e sul lavoro.

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