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Déjà-vu bancari

Alberto Brambilla

Un’altra campagna elettorale a tema banche e Mps. Ma niente è più come cinque anni fa. A partire dal credito

Roma. La prossima campagna elettorale avrà tra i temi principali di dibattito la crisi del credito e punterà alle debolezze del Monte dei Paschi di Siena. Il boccone Antonveneta, il “groviglio armonioso”, l’odore della massoneria, le trite formule giornalistiche, il “caso David Rossi”. Sembra di avere un déjà-vu del 2013. Ma, al momento delle elezioni, in primavera, saranno passati cinque anni. E se le questioni sono le stesse – e in parte sono identici i protagonisti – sono radicalmente cambiati molti fattori. Il che rende la situazione paradossale per diverse ragioni.

  

La commissione parlamentare Bicamerale, allestita sul finale di legislatura, indaga a volo d’uccello su crisi bancarie che sono in via di risoluzione e, nel concentrarsi sulle responsabilità delle autorità di vigilanza, Banca d’Italia in particolare, da martedì prossimo precipiterà su alcune operazioni condotte quando Mario Draghi era governatore, tra cui l’incauto acquisto di Antonveneta dal Banco Santander da parte di Mps. Il che, a livello mediatico, proietta un paradossale match, se osservato dall’estero: l’Italia contro l’Italia. Forse non c’è modo migliore per offrire ai critici, tedeschi e olandesi, motivo di polemica contro il programma di stimoli voluto dal presidente della Banca centrale europea che ha salvato l’integrità dell’Eurozona e sta essenzialmente contribuendo alla sua ripresa, in corso da diciassette trimestri con il tasso di occupazione dell’area tornato ai livelli pre-crisi, dice l’ultimo Bollettino Bce.

  

Il paradosso più evidente è quello per cui il giornale di Wall Street – non certo tenero con il credito italiano, e spesso a ragione –, ieri affermava che “gli investitori internazionali non hanno più da preoccuparsi delle banche italiane” mentre i partiti politici procedono all’inquisizione di Banca d’Italia che rappresenta la stabilità del sistema. I problemi non sono né risolti né scomparsi. L’industria bancaria italiana primeggia nel mondo, prima di Russia e India, per massa di crediti deteriorati a bilancio che sono pari al 17 per cento dei finanziamenti, frutto della doppia recessione degli anni passati e anche dell’incuria di certi banchieri. Ma lo stato di salute complessivo è migliorato e, dopo un decennio drammatico, l’industria sta vivendo una fase di ripresa. Secondo un’analisi di Assiteca Sim, nel primo semestre dell’anno in corso le prime tredici banche hanno realizzato complessivamente un utile netto di 4,7 miliardi di euro rispetto ai 2,5 miliardi del 2016 e il dato statistico include la perdita straordinaria del Monte dei Paschi (3,2 miliardi) dopo la pulizia del bilancio in concomitanza con la ricapitalizzazione pubblica che ha portato il Tesoro ad avere il 70 per cento delle quote e a governare la banca – una garanzia per i clienti, dato che da gennaio a settembre Mps ha raccolto 11 miliardi (conti correnti e depositi vincolati) raggiungendo anzitempo l’obiettivo del 2019. Unicredit con il francese Jean Pierre Mustier ha ribaltato l’assetto azionario minimizzando le fondazioni e inglobando investitori internazionali dopo una ricapitalizzazione da 13 miliardi di euro, prima evitata, e la vendita di 18 miliardi di crediti dubbi. Intesa a settembre ha riportato utili oltre le attese (650 milioni) e ha assorbito, grazie a 5 miliardi di aiuti pubblici, Veneto Banca e Popolare di Vicenza, le banche finora al centro dell’inchiesta parlamentare che punta alla Banca d’Italia. In Borsa il settore è stato messo sotto pressione perché governo e banche sono refrattari ad accogliere nuovi criteri di contabilità stringenti sulle coperture dei crediti in sofferenza imposti dalla Bce a partire dal 2018. Ma in questa battaglia l’Italia è isolata in Europa. 

  

Le banche sono in una migliore condizione e sanno, scriveva ieri il Wall Street Journal, che è il momento di concludere l’opera e che il trattamento più severo delle sofferenze non potrà essere rimandato vista la fermezza della Vigilanza Bce guidata da Danièle Nouy, con l’appoggio di Draghi. La sensazione di inquietudine degli investitori a fronte di un paradossale (visti i numeri) assalto politico emerge dalle parole di un banchiere d’affari che preferisce non essere citato. “Il sistema bancario sta all’economia come il sistema venoso sta al corpo umano, è molto delicato. Ora le banche hanno bisogno di essere lasciate tranquille a gestire il credito secondo solidi criteri economico-finanziari, magari più severi di prima verso gli imprenditori, così da ricostituire i margini e da aiutare le imprese a crescere e a svilupparsi creando lavoro: è il momento di farlo al meglio”. Il ritorno al passato ha un altro elemento di discontinuità rispetto al 2013. All’epoca le accuse, in particolare del Movimento 5 stelle, erano rivolte al Partito democratico a lungo dominus del Montepaschi. Dopo essere intervenuto nella procedura di rinnovo dell’incarico di governatore di Banca d’Italia, il Partito democratico di Matteo Renzi vuole “andare fino in fondo” confidando nell’opera della commissione d’inchiesta. Visco è stato riconfermato governatore dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Renzi non ha ottenuto una sostituzione (che non era prevista) e non la pretendeva. E’ riuscito però a indirizzare l’attenzione dell’elettorato verso la Banca d’Italia, puntando ad evidenziare le carenze nella Vigilanza. E in campagna elettorale probabilmente non gli verrà più ricordato – come a torto veniva fatto – di avere “salvato” o “aiutato” Banca Etruria. Etruria è stata posta in risoluzione e accorpata con altre tre banche in Ubi. Né il Pd potrà essere accusato di avere ferito risparmiatori che avevano investito in titoli a rischio: ieri ha presentato un emendamento alla Legge di bilancio per la costituzione di un fondo che risarcisca chi è stato colpito dalla crisi delle banche venete. Un segnale che conferma quale sarà uno dei campi di battaglia della campagna elettorale e le relative posizioni. Nel film “Ricomincio da capo” Bill Murray era costretto a vivere all’infinito il “giorno della marmotta”. Questo è il giorno del Montepaschi & Co.

  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.