Flavio Cattaneo (foto LaPresse)

Elogio della buonuscita

Redazione

Il caso Cattaneo, i conti del droghiere e un istituto da non denigrare

La buonuscita è un bell’istituto da economia 0.0, la vecchia reputazione bottegaia che si traduceva in compenso economico al momento del passaggio di proprietà. L’avviamento come si diceva allora contando i clienti come ora si conterebbero i like o i clic. La liquidazione è una delle invenzioni del welfare italiano, un accantonamento annuale pari a una mensilità da raccogliere a fine carriera (paternalismo di stato e generazione di risorse finanziarie a basso costo per autofinanziare le aziende, custodi, fino a pochi anni fa, delle somme accantonate). Con Flavio Cattaneo, che i suoi 25 milioni correttamente attribuisce a una specie di compenso contrattuale, a una parcella professionale, siamo, per restare al linguaggio correntemente usato sui giornali, più dalle parti della buonuscita che della liquidazione. Il conteggio del valore di avviamento lasciato ai soci nel caso di Cattaneo in astratto sembra più complesso rispetto a quello del droghiere che cede l’esercizio ma si semplifica grazie al minuzioso contratto stilato da avvocati specializzati. Il droghiere dovrà negoziare, faticare, convincere, mentre per Cattaneo basta una riunione di comitato remunerazioni e cda e 25 milioni (compresi in essi i 2,1 milioni del classico patto di non-concorrenza) si avviano verso il suo Iban. Il lavoro è precedente e si è tradotto in solidi parametri di bilancio. E’ stato troppo duro nel contenere il costo del lavoro? Non si sentono però voci sindacali soddisfatte per la sua uscita né il suo anno di gestione ha causato sollevazioni sindacali o semplicemente aumenti di tensione percepibili. Buonuscita e liquidazione sui giornali hanno sfilato il posto alle espressioni precedenti, i mitici bonus e stock option. Roba che forse suona un po’ troppo pre crisi e da film di denuncia contro Wall Street e ora scaramanticamente non si porta più. Ma entrambi hanno avuto la loro epopea, più loffio il bonus di cui a volte sfuggiva il nesso con la realtà aziendale, apparentemente più fondate le stock option. I bonus ovviamente ancora esistono, ma hanno preso la via un po’ malinconica dell’impiego pubblico (recentemente Virginia Raggi ha rispolverato i bonus a pioggia per i lavoratori del Campidoglio) mentre le stock option (ovvero pacchetti di azioni da dare ai dirigenti gratis o a prezzo fisso e contenuto) sono sempre meno frequentati. Hanno avuto tante critiche perché si riteneva (anche grazie a una diffusa letteratura di ricerca) che portassero a valorizzare nel brevissimo periodo l’unico parametro dei corsi azionari (si vendeva il pacchetto, esaurito il periodo di blocco, e si lucrava la differenza) a discapito degli obiettivi di medio-lungo termine e gli stessi ricerca e sviluppo necessari per la continuità aziendale. Critiche fondate e anche tanta indignazione pre Cattaneo e pre crisi sulle fantamiliardarie botte di fortuna dei percettori delle stock option più alte, magari legate ad aumenti borsistici repentini di titoli poi crollati. Pikettismi e Occupy Wall Street vari, con addentellati italiani, nascono da lì, non dal super-droghiere Cattaneo.

E allora la vecchia buonuscita (reinterpretata con astuzia avvocatesca ma sempre approvata dal board dei soci) si mostra come strumento valido. Supera anche la prova-Cattaneo, a condizione che ci si ricordi che prima (bonus e option) si stava peggio. Basta saper scrivere i contratti e farsi i conti come li farebbe il droghiere.

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