I veti al gasdotto Tap, paradigma di un'Italia da "bollino rosso"

Alberto Brambilla

Lo stato di diritto s’è infranto sulle spiagge del Salento e il presidente pugliese Emiliano fa l’incendiario

Roma. Lo stato di diritto è stato calpestato ancora una volta in Italia, sulla spiaggia del Salento in questo caso. L’inizio dei lavori per costruire l’approdo del gasdotto Trans Adriatic Pipeline (Tap), terminale del corridoio che per la prima volta nella storia porta il gas naturale dal mar Caspio in Europa, era stato approvato dal Parlamento e ha ricevuto tutte le autorizzazioni del caso. Eppure è stato bloccato nei giorni scorsi da un centinaio di attivisti No Tap ai quali il governatore della Regione Puglia, Michele Emiliano, dà manforte. Non è dunque difficile capire perché l’Italia sia contrassegnata da bollini rossi (vedi il grafico in pagina) quando si descrive lo stato dell’opera nelle slide mostrate da Ian Bradshaw, managing director del progetto Tap, durante il terzo meeting del Southern Gas Corridor Advisory Board tenutosi a Baku, capitale dell’Azerbaigian, il 23 febbraio scorso alla presenza, tra gli altri, del ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda.

  

Gli altri due paesi attraversati dal Tap, Albania e Grecia, hanno il bollino verde, ovvero non ci sono impedimenti alla realizzazione dell’opera né a livello nazionale, né regionale, né locale. In Grecia l’unica criticità potenziale è la scoperta di reperti archeologici nella regione della Tracia perché potrebbe rallentare i lavori. In Albania l’unico potenziale guaio deriva dagli smottamenti eventuali nella montuosa regione meridionale dove corre il tubo prima di tuffarsi nel mar Adriatico. Ed è sulla sponda italiana che nascono i problemi, nonostante il Tap abbia ricevuto il nulla osta dalle autorità competenti a ogni livello. Il problema principale è l’ostilità della comunità locale e della regione Puglia governata da Emiliano, un magistrato candidatosi alla guida del Partito democratico e quindi, potenzialmente, a governare la nazione. La regione fa da “tappo” a un gasdotto che attraversa nel complesso sette paesi e costa 46 miliardi di dollari per portare 9 miliardi di metri cubi di gas in Europa dall’Azerbaigian, crocevia d’“Eurasia”.

 


Lo stato d'avanzamento del gasdotto Trans Adriatic Pipeline (Tap) nella presentazione di Ian Bradshaw, managing director Tap, esposta il 23 febbraio scorso a Baku (Azerbaijan). In Grecia e Albania non ci sono problemi. In Italia invece ci sono impedimenti alla realizzazione sia a livello regionale sia locale.


 

L’Azerbaigian conta sulla realizzazione sia per affrancarsi, in parte, dalla produzione di petrolio sia per instaurare un legame fisico con l’Europa e avere una sorta di assicurazione contro l’influenza russa nel Caucaso. Il Tap ha ricevuto l’autorizzazione del Parlamento italiano il 19 dicembre 2013. Nel settembre 2014 il ministero dell’Ambiente, dopo approfondimenti, ha confermato che il punto di attracco del sarà in località San Foca nel Salento. Il 20 maggio 2016 l’ex ministro dello Sviluppo economico, Federica Guidi, ha dichiarato il progetto di pubblica utilità. Sul molo di Costa Morena a Brindisi sono già stoccati i tubi che dovranno costruire la tratta sottomarina del gasdotto che, secondo il ministero dello Sviluppo sarà operativo nel 2020. Se tutto va bene. I lavori sono infatti stati bloccati non appena cominciati. Il 20 marzo, attivisti No Tap hanno fermato i camion giunti per espiantare i primi 33 ulivi, su 221 complessivi, che dopo la posa dei tubi verranno rimessi a dimora. Le autorità locali hanno considerato l’espianto illegittimo e si sono rivolte al prefetto che ha chiesto alla società di sospendere i lavori in attesa di chiarimenti dal ministero dell’Ambiente, nonostante l’operazione fosse già stata approvata dall’Osservatorio fitosanitario della regione Puglia. Anziché amministrare il processo, Emiliano lo osteggia sui media nel tentativo d’ingraziarsi l’elettorato del Movimento 5 stelle che vorrebbe bandire l’opera. Emiliano non è contrario al Tap in sé ma vorrebbe spostare l’approdo 50 km più a nord a Lendinuso (Brindisi) perché da lì sarebbe più corta la bretella di raccordo per la centrale Snam, nei pressi di Mesagne (Brindisi), che poi immette il gas nella rete. Probabilmente il fumantino governatore dimentica di vivere in una regione allergica a diversi impianti industriali: il brindisino è noto per l’opposizione popolare che ha portato l’inglese British Gas a rinunciare a realizzare un rigassificatore dopo ritardi decennali.

 

I social network accelerano le proteste

 

Contestare ogni tipo d’iniziativa industriale o infrastrutturale è uno sport nazionale. Secondo il Rapporto Nimby forum, nel 2015 sono state contestate 342 opere, circa il doppio della prima rilevazione del 2005, di cui 16 in Puglia. “In questi anni la diffusione dei social network, sistemi di comunicazione disintermediata, ha portato la protesta a diffondersi rapidamente in rete, amplificandola”, dice Alessandro Beulcke, presidente Osservatorio Nimby forum. “Aumenta la risonanza del dissenso attorno a un’opera e la protesta dal basso investe anche la politica in ultima istanza. E così si passa dalla sindrome Not in my backyard (Nimby) alla sindrome Not in my term of office (Nimtoo), non durante il mio mandato, come nel caso di Emiliano”. Le implicazioni per la certezza del diritto e la relativa attrazione degli investimenti sono gravi nel caso specifico: “Abbiamo un’opera legale e autorizzata bloccata da proteste che non hanno alcuna base di legalità ma che tuttavia fanno pendere l’asse della politica verso il divieto per un’impresa a lavorare com’è suo diritto sancito per legge. E’ un pericolo per la democrazia. Viviamo in una paese con chiare difficoltà a realizzare il suo sviluppo se si impazzisce per un tubo da 95 cm di diametro e se il dissenso non riesce a essere minimamente mediato dalle istituzioni”.

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.