Luciano Benetton (foto LaPresse)

La trappola familiare del capitalismo

Redazione

I problemi di Benetton, la strada indicata da Fiat e le eccezioni

L’abbandono di Benetton Group da parte del 54enne Alessandro, figlio del fondatore Luciano a sua volta in contrasto con il fratello Gilberto, presidente della holding Edizione (che controlla in borsa Atlantia e Autogrill) è l’ennesimo capitolo di una trama che riguarda parte cospicua del capitalismo italiano, quello familiare. Ci sono gli antefatti – Pirelli, Ferrari, Pininfarina, Mondadori, Lucchini, Merloni, Rizzoli, la Gemina dei Romiti, la Parmalat dei Tanzi – e i casi recenti, il più clamoroso dei quali si chiama Agnelli: se gli eredi dell’Avvocato non si fossero affidati a Sergio Marchionne ma avessero continuato a cogestire l’azienda, la Fiat sarebbe fallita, nell’ipotesi migliore ceduta a stranieri, la produzione automobilistica italiana avrebbe continuato nel declino e nella delocalizzazione. Altri problemi toccano in misura diversa e minore Mediaset, Ferragamo, Luxottica, dove le famiglie hanno un ruolo preponderante sul management.

 

Certo non mancano esempi virtuosi, come Ferrero e Barilla, pilastri globali del made in Italy, e però non quotati. Una sola azienda, tra le maggiori di Borsa, fa eccezione, ed è Mediolanum. Mentre l’eccessiva gestione familistica è tra i motivi della scarsa crescita delle imprese medio-piccole. Non è un problema esclusivamente italiano, basti pensare agli scontri nella famiglia Bettencourt (L’Oréal) o della dinastia Porsche, proseguiti in Volkswagen. Il motivo non è soltanto la scarsa propensione a cedere la guida ai manager limitandosi a incassare le cedole: oggi c’è un fenomeno che gli anglosassoni conoscono da tempo e la vecchia Europa da meno, e cioè i fondi attivisti, o hedge fund, ai quali non rende giustizia la traduzione in “speculativi”, oltretutto con le accezioni complottiste oggi di moda.

 

La carenza di capitali rende necessario aprire le porte ai fondi, che nel 2015 hanno superato i 3 mila miliardi di dollari di patrimonio gestito investendone altrettanti. Però gli investimenti devono rendere: ed entrano in conflitto con le vecchie famiglie e gli ex salotti finanziari. E’ un capitalismo meno ossequioso ma più democratico, destinato anche a cambiare molti rituali sindacali. In definitiva è come sempre il mercato: muta continuamente e non aspetta.

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