L'Opa ostile di Francia

Bolloré va all'offensiva su Mediaset per testare le scarse difese italiane

Alberto Brambilla

Il patron di Vivendi arriva al 12,3 per cento e mette in luce una nuova geografia dell’establishment italiano

Roma. Palazzo Chigi è scoperto mentre l’inquilino dell’Eliseo François Hollande sta facendo le valigie. Sembra una situazione alla pari. Eppure di “reciproco” i rapporti bilaterali italo-francesi hanno sempre avuto ben poco e da tempo. Gli investimenti diretti francesi in Italia contano per un quinto del totale, quelli italiani in Francia sono una frazione. Ed è in questi giorni di trambusto politico che si prepara un’offensiva ostile. Il governo di Matteo Renzi, sconfitto al referendum costituzionale, è stato sostituito da quello transitorio-fotocopia guidato da Paolo Gentiloni. Vincent Bolloré è discendente di una dinastia imprenditoriale sopravvissuta con profitto a tre guerre e 35 governi francesi e sta saggiando le residue capacità di difesa tricolori: s’intravede la fine di quel quadro impressionista che da tempo sta dipingendo in Italia.

 

 

L’ultima pennellata ha il colore della minaccia. La sua Vivendi ha rastrellato il 3 per cento delle azioni di Mediaset dandone annuncio lunedì a poche ore dall’insediamento del governo Gentiloni e martedì ha comunicato – sempre a mercati chiusi – di aver raggiunto il 12,3 per cento del capitale, con l’intenzione di salire al 20. “Vivendi si è ripresa la palla, troppo veloce per Silvio Berlusconi”, è la sintesi a caldo del Ft online. Berlusconi è indebolito finanziariamente sia dalla frustrata cessione di Premium a Vivendi, oggetto di una querelle legale estiva, sia dai diktat della Vigilanza della Banca centrale europea guidata da Danièle Nouy, ex Banque de France, che ha ordinato a Fininvest di cedere le quote in Mediolanum, fondata dall’amico Ennio Doris, nonché azionista di Mediobanca.

 

Dopo la caduta di Renzi, Berlusconi è anche privo di copertura politica. D’altronde Bolloré tifava per un No referendario quindi per il caos – momento d’oro per gli affari. Berlusconi è in condizioni di non nuocere e non si vede come Gentiloni possa portare avanti la linea renziana di difesa di Mediaset e dimostrare che il Biscione è “patrimonio degli italiani”, come disse Massimo D’Alema. Bolloré ha disegnato le altre pennellate tempo addietro attorno al dominio sulle Generali, decennale mira di conquista francese. Philippe Donnet è l’ad di Generali scelto da Bolloré, il quale è secondo socio di Mediobanca, a sua volta l’azionista più importante dell’assicurazione triestina. Société Générale è diventata socio di Generali ed è la banca che potrebbe, stando a rumors non smentiti ufficialmente, infilarsi nell’aumento di capitale di Unicredit capitanata da Jean Pierre Mustier che martedì ha ceduto Pioneer (risparmio gestito) al fondo francese Amundi. In Generali i potenziali nemici di Bollò sono messi da parte. Francesco Gaetano Caltagirone ha spostato i suoi interessi dal Tevere alla Senna facendo salire Engie (ex Gdf-Suez) nella romana Acea e specularmente è penetrato nel mercato cementiero franco-belga con la sua Cementir. Leonardo Del Vecchio è sotto minaccia dell’Antitrust francese per la sua Luxottica.

 

Nella storia i francesi sono entrati in Italia approfittando della litigiosità dei cugini, per poi affondare. Il copione si ripete. A marzo in un incontro bilaterale con Hollande a Venezia, Renzi avallò la presa di Telecom Italia da parte di Vivendi per spingerla a investire sulla banda larga salvo poi pentirsi quando Bolloré impose Flavio Cattaneo, ex dell’italo-francese Ntv, e non Maximo Ibarra della russa Wind-Vimpelcom, da lui preferito. A nulla è servita la rappresaglia contro Telecom attraverso Enel. “Quando hai una grande nave da guerra e arrivano i pirati ha senso spedire dei commando su lance veloci”, come ha detto Vittorio Colao, capo di Vodafone, per rispondere alle provocazioni dell’enfant terrible Xavier Niel che, appena entrato nella telefonia mobile italiana con Iliad, ha detto con sarcasmo: “Non saremo aggressivi. Non avremo successo”. Niel rideva. I bucanieri d’oltralpe si dimostrano abili a navigare in acque profonde dove la finanza e i mandarini di stato s’incontrano senza il permesso dei governi. 

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.