Mario Draghi (foto LaPresse)

Whatever “he” takes

I colpi all'autonomia delle banche centrali meritano un'offensiva

Alberto Brambilla
Carney respinge l’assedio della politica all’indipendenza della BoE. Draghi è sotto tiro e sarà chiamato a reagire

Roma. Mark Carney ha difeso l’autonomia della Bank of England (BoE) dall’ingerenza del potere politico, prima resistendo alle richieste di dimissioni anticipate arrivate in seguito al voto sulla Brexit di giugno da alcuni esponenti di spicco del partito Conservatore – martedì ha detto che resterà in carica fino al 2019 – e poi con un’ulteriore prova di forza respingendo le pressioni del primo ministro Theresa May che, alla conferenza dei Tory d’ottobre, promise un’inversione a “U” della politica monetaria in senso restrittivo – ieri la Banca centrale inglese ha invece confermato una politica accomodante, tassi ai minimi storici e stimoli invariati. La BoE ha anche detto di poter tollerare lo sconfinamento del tasso di inflazione sopra al target del 2 per cento, previsto già nella primavera prossima. Il parametro – un dogma delle banche centrali – è ormai giudicato obsoleto da più parti: il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, tra gli altri, aveva detto al Foglio che non ci sarebbero controindicazioni a superarlo; il governatore della Bank of Japan, Haruhiko Kuroda, martedì ha ammesso che non raggiungerà l’obiettivo prima della fine del suo mandato nonostante gli eccezionali stimoli prodotti, con scarsi risultati. Carney ha posto un argine alle minacce all’indipendenza dell’autorità monetaria inglese (separata dal Tesoro dal 1997). Ma da due anni la reputazione dei banchieri centrali è messa in discussione a ogni latitudine. Raghuram Rajan è stato rimosso dalla Bank of India dal governo indiano. Donald Trump, se eletto, defenestrerà Janet Yellen dalla Fed.

 

Il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, è probabilmente il prossimo sulla linea di fuoco. Nell’inazione dei politici europei, l’azione della Bce è stata l’unica che ha prodotto risultati tangibili: il Quantitative easing ha arginato la minaccia di una nuova deflazione, ha evitato il crac dell’euro e, con la leva dei tassi, ha rimesso in marcia un mercato creditizio ozioso. Il noto “whatever it takes”, tutto quello che è necessario per salvare l’euro, è stato tradotto in pratica finora con successo. Tuttavia gli stimoli programmati si esauriranno nel 2017 e – come nota il “padre” fondatore della Bce, Otmar Issing – Draghi dovrà dunque fronteggiare una “crescente spinta contro il suo status indipendente” da parte dei politici eletti (in un anno elettorale per Olanda, Francia e Germania) se vorrà riaccendere l’economia continentale. Con un gioco di parole significherebbe trasformare il “Whatever it takes” in “Whatever ‘he’ takes”, un’esortazione affinché “prenda tutto ciò che vuole”, estraendo dal cilindro strumenti inediti e più potenti – anche a costo di vincere con un conflitto le resistenze contrarie da parte della politica, tedesca in particolare.

 

La Bce potrebbe occupare ulteriori spazi di mercato oltre al segmento dei titoli sovrani e, come fa dal giugno, quello delle obbligazioni societarie. Le idee offerte dagli esperti abbondano: si va dall’acquisto di azioni a quello delle sofferenze bancarie cartolarizzate fino a rottura della regola, cara a Berlino, che impedisce acquisti mirati dei titoli pubblici di paesi in difficoltà. L’establishment politico, tuttavia, troverebbe un comodo alleato nelle masse ammaliate dal sinistro richiamo di movimenti populisti avversi al progetto della moneta unica perché foriero, a loro dire, dell’“usurpazione” della sovranità nazionale, con cessioni sempre più impegnative. L’Eurozona è per sua costituzione l’unione di stati indipendenti che hanno deciso di creare una nuova moneta cedendo buona parte della loro sovranità in un processo irreversibile – la sottomissione del governo Tsipras in Grecia nel 2015 dimostra che non si torna indietro. Da tempo Draghi esorta i 19 governi dell’area euro ad abbassare le tasse, investire in infrastrutture (se possibile), sistemare le inefficienze dell’industria bancaria. Consigli certo non contrari all’interesse dei 340 milioni di abitanti dell’Eurozona. Tuttavia le cancellerie son sorde e nessun governo pare chiedersi se ha sfruttato virtuosamente i minori interessi sul debito derivanti dal Qe. Se non arrivano risposte coerenti dai politici eletti è naturale che un Istituto con finalità pubbliche, qual è la Bce, occupi spazio. Non per questo la sua reputazione va offesa.

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.