(foto LaPresse)

Né massoni, né coglioni

Redazione
E’ sbagliato rimestare nel torbido sulle banche, non auspicarne uno sprint. Il sensazionalismo di piccolo cabotaggio applicato a istituzioni fondamentali per mandare avanti l’economia sia dei comuni mortali sia dei ricchi è roba da terzo mondo.

Durante la presentazione estiva di un libro, l’ex presidente del Monte dei Paschi di Siena, Alessandro Profumo, avrebbe detto la seguente frase: “Anche la massoneria ha distrutto il Monte dei Paschi”. Al Fatto quotidiano – che solitamente dei banchieri si fida poco – stavolta non è parso vero di citare alla lettera Profumo, ed ecco il titolo di prima pagina di due giorni fa: “Mps, Profumo con De Bortoli: ‘Ho visto i massoni all’opera’”. I nuovi arrivati della Verità, quotidiano diretto da Maurizio Belpietro, si sono assestati su una linea simile. Ricapitoliamo dunque: a mettere in difficoltà Mps negli anni, fino a ridurla alla situazione di oggi, non è stata chissà quale speculazione internazionale (come pure un tempo sosteneva il Fatto, appigliandosi a casi Nomura et similia) né la politica locale onnipotente di tendenza Pci-Pds-Ds-Pd (come pure un tempo sosteneva Belpietro in altre sedi), né un più ragionevole mix di malagestione e pervasività del potere politico che operava fuori da logiche di mercato; a far franare il terzo gruppo bancario italiano è stato un complotto massonico, semplice no?

 

Ecco il tipo di discussione sulle banche che su queste colonne abbiamo sempre evitato. Il sensazionalismo di piccolo cabotaggio applicato alle banche – istituzioni fondamentali per mandare avanti l’economia sia dei comuni mortali sia dei ricchi – è roba da terzo mondo, buona al massimo per solleticare qualche istinto belluino di normali correntisti che poi però giustamente soffrono quando i conti corrente saltano. E’ quanto ha sostenuto anche Giuliano Ferrara, citato nella garbata lettera che pubblichiamo a pagina quattro e che è firmata da Gianfranco Torriero, vicedirettore generale dell’Associazione bancaria italiana. L’Abi, a differenza del Foglio, non è convinta che al settore del credito serva “un Sergio Marchionne” per cambiar pelle in maniera più spedita. Tuttavia, Marchionne o non Marchionne, due giorni fa Carmelo Barbagallo, capo del Dipartimento vigilanza bancaria e finanziaria della Banca d’Italia, è andato in Parlamento e ha stilato una lista di autoriforme radicali necessarie alle banche italiane.

 

Ricordano molto da vicino (eufemismo) quelle che hanno elencato Alberto Brambilla e Renzo Rosati sul Foglio: i nostri istituti sono caratterizzati da “elevata consistenza dei crediti deteriorati” e “bassa profittabilità”; perciò “occorre reagire rapidamente, conseguire adeguati livelli di efficienza e produttività, espandere i ricavi e ridurre i costi, ricercare nuovi modelli distributivi e di business”; “sforzi da parte delle banche sono ancora necessari, anche attraverso un cambiamento del modo di concepire il rapporto con le imprese”, oltre che per “operare con elevati livelli di capitale e di liquidità”. E via discorrendo. Barbagallo, di Banca d’Italia, non può essere tacciato di essere avversario “a prescindere” delle banche e ha precisato di non vedere “solo ombre”. Nemmeno noi, che di banche ne vorremmo vedere di più, in migliore salute e più spregiudicate, perché esse sono il sale del capitalismo. Ma più che un solo Marchionne, ascoltando Barbagallo, viene da pensare che ne sarebbero necessari almeno dieci. 

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