Mario Draghi

Sarà lunga la battaglia di Draghi per fare riemergere l'inflazione in Eurozona

Carlo Milani
La Banca centrale europea allontana la prospettiva di un ritorno dell'inflazione in Eurozona vicino all'obiettivo del 2 per cento e invoca un'azione rapida nel suo bollettino mensile. Ecco quali sono le "armi" di Draghi per riuscirci e le incombenti difficoltà.

Roma. L'inflazione resterà negativa nei prossimi mesi, dice il bollettino mensile della Banca centrale europea nel quale si invoca un'azione rapida. "Le proiezioni macroeconomiche per l'area dell'euro elaborate nel marzo 2016 dagli esperti della Bce prevedono un tasso annuo di inflazione misurato dello 0,1 per cento nel 2016, dell'1,3% nel 2017 e dell'1,6% nel 2018", ancora sotto il target del 2 per cento fissato dalla Banca centrale.

 

Al fine di contrastare il perdurante problema del basso livello dei prezzi la Banca centrale europea ha messo sul tappeto un nuovo pacchetto di misure. Una prima azione ha riguardato i tassi d’interesse. La penale che le banche sono tenute a pagare nel caso in cui dispongano di liquidità in eccesso è stata aumentata. Molti dubbi esistono però sull’efficacia di questo intervento. Le banche europee, infatti, continuano a detenere circa 250 miliardi di depositi presso la Bce, con l’effetto di vedere aumentare il costo della raccolta. Per il momento questo maggior onere non si è trasferito sulla clientela, ma in Svizzera, dove la Banca centrale si è spinta già da molto tempo nell’applicare tassi negativi fino a un livello del meno 0,75 per cento, gli operatori stanno riscontrando tendenze all’aumento dei tassi applicati sui mutui.

 

Tra le misure non convenzionali la Bce è andata nuovamente a rivedere, e ampliare, il cosiddetto Quantitative easing (Qe). Il programma è stato esteso nella sua portata e il perimetro dei potenziali titoli eleggibili è stato allargato ai titoli emessi dalle società non finanziarie operanti nell’Area euro e aventi un rating investment grade (BBB- o superiore). In altri termini, la Bce potrà acquistare emissioni obbligazionarie di solide imprese non finanziarie europee, come ad esempio Eni o Enel per l’Italia. Le obbligazioni corporate hanno però una diffusione molto difforme da paese a paese: lo stock è pari a 430 miliardi in Francia, 126 in Germania e 113 in Italia. Inoltre, l’ammontare dei titoli in circolazione nell’eurozona, inclusi quelli con basso rating, non è molto ampio, essendo pari a poco meno di 900 miliardi di euro, contro i quasi 7.500 miliardi di titoli pubblici.

 

Ultima misura varata dalla Bce è una nuova versione del T-LTRO, ossia la possibilità per le banche di finanziarsi per quattro anni a tassi zero, o anche negativi nel caso in cui dovessero allentare le loro politiche creditizie. Questa misura dovrebbe permettere alla banche tedesche di ottenere fino a 310 miliardi di euro di finanziamenti, 270 per quelle francesi e 240 per le italiane. Dalle informazioni attualmente disponibili appare tuttavia improbabile che questo strumento riuscirà a stimolare le banche nel riattivare il credito e facilitare così l’aumento dell’inflazione fino al target del 2 per cento. Non sembrano infatti presenti sufficienti disincentivi per evitare che gli istituti di credito si finanzino a tasso zero al fine di sostituire, quanto meno in parte, le obbligazioni in scadenza.

 

In definitiva, la Bce ha dimostrato ancora una volta di essere l’unica istituzione europea capace al momento di offrire una qualche risposta alle perduranti difficoltà macroeconomiche e finanziarie dell’Area euro. L’opposizione interna, coalizzata intorno alla Bundesbank, ha però impedito in questi anni di intervenire in modo più tempestivo, facendo così diminuire l’efficacia delle misure messe in campo. Una conferma al riguardo è fornita dalle attese sull’inflazione dell’eurozona desumibili dai titoli obbligazionari ad essa indicizzati, che negli ultimi giorni sono andate peggiorando. Le armi a disposizione della Bce per combattere la deflazione non sono comunque finite. Un Qe asimmetrico, in cui gli acquisti si concentrino soprattutto sui titoli dei paesi periferici, e l’ampliamento dei titoli eleggibili alle cartolarizzazioni con sottostante le sofferenze bancarie sono probabilmente le misure aggiuntive che più efficacemente potrebbero essere attuate. In generale, comunque, la politica monetaria può far ben poco per rilanciare l’economia reale in un contesto in cui è prevale negli operatori economici la preferenza per la liquidità. Come invocato dallo stesso Mario Draghi, solo una seria politica fiscale espansiva potrebbe ridare slancio all’economia europea, evitando la sindrome giapponese e la prospettiva di venti anni di bassa crescita.