Matteo Renzi durante i lavori alla Leopolda dello scorso anno (foto LaPresse)

Ichino spiega che cosa deve ancora fare Renzi per rivoluzionare il lavoro e non tradire lo spirito della Leopolda

David Allegranti

Luigi Zingales, sul Foglio, ha evidenziato i limiti della classe dirigente leopoldina. Pietro Ichino, giuslavorista, senatore del Pd, coglie alcuni aspetti positivi dell’annunciata rivoluzione renziana del merito, ma - spiega al Foglio - non basta.

Roma. Non è tutta Leopolda quel che luccica. Luigi Zingales, sul Foglio, ha evidenziato i limiti della classe dirigente leopoldina. Pietro Ichino, giuslavorista, senatore del Pd, coglie alcuni aspetti positivi dell’annunciata rivoluzione renziana del merito, ma - spiega al Foglio - non basta: “Se l’obiettivo è quello della massima possibile contendibilità delle funzioni e dei ruoli, sia nel tessuto produttivo, sia nelle amministrazioni, ma anche in politica, non c'è dubbio che dei passi avanti importanti sono stati fatti. Nel settore privato si è voltato pagina rispetto al regime di job property: una riforma fatta su misura per le nuove generazioni. In politica è stata fatta fuori un'intera generazione di notabili. Questa rivoluzione, però, ha investito solo l'alta dirigenza del settore pubblico: al di sotto dei vertici l'inamovibilità non è stata ancora scalfita. Non si è toccato l'intero grande settore delle partecipate regionali, provinciali e comunali. Inoltre si assiste ad alcuni ritorni indietro preoccupanti sulla contendibilità degli appalti pubblici: il disegno di legge su questa materia è tornato dalla Camera al Senato con alcuni emendamenti che ci fanno tornare agli anni ’70”.

 

Nel suo intervento, alla Leopolda, nel 2012, Ichino disse: “Le roccaforti della sinistra non stanno fra i precari, ma nel pubblico impiego, non stanno fra i giovani, ma fra i vecchi, non fra chi rischia di più ma fra chi rischia di meno”. Oggi Boeri ci dice che i trentenni andranno in pensione a 75 anni con il 25 per cento in meno. In questi tre anni, che cos’è cambiato nel mondo del lavoro, e poi con Renzi al governo? Le condizioni dei giovani sono peggiorate o migliorate? “L'inversione di tendenza - dice Ichino al Foglio - è incominciata con la riforma Fornero delle pensioni: un atto dovuto di giustizia intergenerazionale. Certo, è stata per certi aspetti molto brusca, perché è arrivata in ritardo grave, nel momento in cui il paese era sull'orlo del precipizio. Ma non potevamo andare avanti a prepensionare i cinquantenni e sessantenni a spese dei ventenni e trentenni: lo stop è stato brutale, ma era indispensabile”. Poi, aggiunge il giuslavorista, “è arrivata la riforma del lavoro di Renzi, accompagnata dall'incentivo alle assunzioni a tempo indeterminato, che ha cambiato profondamente la posizione dei new entrants nel mercato del lavoro: l'aumento immediato del 30-40 per cento dei contratti a tempo indeterminato nel flusso delle nuove assunzioni costituisce già un fatto straordinario, ma gli effetti maggiori della riforma, per questo aspetto, devono ancora manifestarsi nel prossimo futuro. Certo, i nuovi servizi nel mercato del lavoro sono ancora tutti da costruire; ma la svolta c'è stata, e si respira già un clima diverso”.

 

[**Video_box_2**]A proposito di lavoro: il governo sta preparando un decreto che esclude dall’applicazione del Jobs act il pubblico impiego. Renzi ha detto al Corriere della Sera: “Se sei dipendente pubblico significa che hai vinto un concorso. Non è che se cambia sindaco allora quello ti licenzia”. Lei è d’accordo? “Qui Renzi sbaglia. Il fatto di essere stato assunto attraverso un concorso non implica affatto l'applicazione del vecchio articolo 18 all’eventuale licenziamento: nel settore pubblico si veniva assunti per concorso anche quando l'articolo 18 non esisteva; si viene assunti per concorso anche per rapporti a termine; i dipendenti pubblici vengono assunti per concorso anche in tutto il resto d'Europa dove l'articolo 18 non c'è mai stato. Con l'applicazione della nuova disciplina dei licenziamenti anche ai dipendenti statali o comunali nessuno rischierebbe comunque di essere licenziato ‘perché è cambiato il sindaco o il ministro’”. La reintegrazione nel posto di lavoro, dunque, “rimarrebbe, come rimane nelle aziende private, per tutti i casi di discriminazione politica o di rappresaglia, per i motivi illeciti. Per garantire ulteriormente ai dipendenti pubblici l'imparzialità e correttezza nell'esercizio del potere disciplinare si possono introdurre le procedure interne che si applicano nei public bodies dei Paesi anglosassoni, dove l'articolo 18 non è mai esistito né nel settore privato né in quello pubblico. Ma la svolta decisiva deve consistere nell'eliminazione di tutti gli ostacoli che impediscono alla dirigenza pubblica di riappropriarsi delle proprie prerogative manageriali. Anche nell'esercizio del potere disciplinare, che con l'articolo 18 nel settore pubblico è quasi del tutto azzerato”.

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  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.