Il presidente del Consiglio Matteo Renzi (foto LaPresse)

Te la do io la Leopolda

Sposetti ci spiega in che senso il Pd è diventato un'agenzia di viaggi

Salvatore Merlo
“Se il Pd fosse un’azienda di cui studiare i conti, si scoprirebbe che non c’è più nulla”. Dai vecchi leader fino a Renzi

Roma. “Vogliono il partito, discutono del doppio incarico di Renzi, vorrebbero che lui lasciasse la segreteria… Mi sembrano fuori dal mondo. Ho letto Violante, ho letto Massimo Salvadori su Repubblica, ho sentito le cose che dice Cuperlo, so quello che pensano Orlando e Orfini, e sono settimane che rimango in silenzio, frastornato, di stucco. Insomma, io gli vorrei dire questo, a tutti, giovani e meno giovani: ma che state a di’, ma di che parlate? Se il partito non c’è, che partito vi volete riprendere? E anche se ve lo riprendete, poi che ve ne fate?”. E Ugo Sposetti, sessantanove anni (comunista? “certo”), senatore del Pd, tesoriere dei Ds, una vita vissuta nel Pci tra circoli e sezioni – “non voglio apparecchiare la mia vecchiaia senza tessera di partito” – sempre si esprime con parole che spiritosamente alludono, oppure con elaborati silenzi che s’accompagnano a sguardi parlanti. E l’oggetto della sua polemica non sono (soltanto) i giovani turchi, non sono Andrea Orlando né Matteo Orfini, né Gianni Cuperlo né Pier Luigi Bersani, che sabato a Roma chiederanno a Renzi di scegliere tra la segreteria del Pd e la presidenza del Consiglio, e nemmeno Violante: “Io un po’ ce l’ho con Renzi”, dice Sposetti. “E’ un uomo senza religione politica. Voglio dire che all’inizio parlava di partito radicato nel territorio, di circoli che dovevano tornare a chiamarsi sezioni, poi ha cominciato invece a parlare di partito liquido all’americana, e insomma dice tutto e il contrario di tutto, mentre il Pd, nella provincia italiana, già non c’è più: non ci sono iscritti, non ci sono militanti, non ci sono tessere”. E quindi? “E quindi che cosa vogliono conquistare Orlando, Orfini, Cuperlo e gli altri? Loro continuano a parlare di tessere e insediamenti, ma il segretario va da tutta un’altra parte. I ciechi e il sordo. Quasi mi innervosiscono”.

 

E non ci sono smorfie da medico al capezzale del moribondo che bastino a esprimere i dubbi di Sposetti sulla vitalità del Pd. “E’ tutto scritto nello statuto voluto da Veltroni, ai tempi del Loft…” – pausa scenica, tono ironico, la voce che s’abbassa di un tono: “Un partito nato in un loft non è nemmeno un partito, non so cos’è. Può essere un’agenzia di viaggi, o forse un bar”. Va bene, ma cosa c’è scritto nello statuto? “C’è scritto che il candidato premier è il segretario. Insomma il doppio incarico di Renzi è ‘incontestabile’, ed è anzi una cosa del tutto normale in Inghilterra, in Francia, in Germania. Solo che lì ci sono delle regole, e da noi no: noi confondiamo l’avere una classe dirigente con l’avere un capo circondato da pretoriani. Non sanno di cosa parlano”. E Sposetti un po’ pensa che in fondo sia tutta colpa dei suoi vecchi compagni, della sua generazione. “La rottamazione comincia con la deroga allo statuto, nel 2012, con le primarie tra Bersani e Renzi. Comincia con le primarie per le candidature in Parlamento, comincia quando non candidi più Veltroni e non candidi più D’Alema a Montecitorio”. E chi era il segretario? “Non rispondo”. Era Bersani. Il vero rottamatore? “Eterogenesi dei fini”.

 

[**Video_box_2**]E adesso? “Ad agosto avevo scritto a Renzi chiedendogli d’impegnarsi in un progetto di legge sulla disciplina dei partiti, in attuazione dell’articolo 49 della Costituzione”. Ma? “Ma forse non gli interessa. Cioè, è il partito che non gli interessa: nella sua testa c’è soltanto il leader. Il leader e basta. Stiamo modellando un partito senza iscritti, un partito che ne può fare a meno. D’altro canto, se ci sono le primarie, se la selezione avviene così, gli iscritti a che servono? Perché mai qualcuno dovrebbe iscriversi al Pd? A me dispiace, perché il processo di formazione ed educazione politica non si fa con la Leopolda né con i banchetti o i volantini. E’ un processo lungo e faticoso. Sarò vecchio. Ma questo dibattito assurdo sulla segreteria mi fa arrabbiare. E’  decentrato rispetto al problema. Se Orlando e Orfini facessero una due diligence, se il Pd fosse un’azienda di cui studiare i conti, scoprirebbero che non c’è più nulla”. E non lo sanno? “Non lo sanno. Lo so io cosa c’è, purtroppo. Abbiamo visto le foto dei banchetti in questi giorni, nelle grandi città. Ma in provincia le telecamere e i giornalisti non ci vanno. E se ci andassero,  scoprirebbero il deserto dei circoli e degli iscritti”.  Il partito, dunque, il partito, quella bestia imponente sulla quale è sceso un oblio con pochi spiragli. Gli spiragli dei repertori, generici come gli epitaffi. “Per fortuna vedo in giro ancora tanti ventenni intelligenti e con una gran voglia di impegnarsi in politica… Ma guardate che se dalla Leopolda esce un Pd senza iscritti e senza tessere, allora si combatte”.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.