Matteo Renzi con il ministro del Lavoro Giuliano Poletti (foto LaPresse)

Perché rompere un tabù

Renzi e la sfida sul welfare da giocare non solo a colpi di mance, ritocchi e bonus

Renzo Rosati
Quell’idea molto tattica ma non ancora strategica dietro la spesa pubblica per rilanciare i consumi e avere consenso

Roma. Bene, benissimo, il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, che propone il salario collegato agli obiettivi e non più alla sola presenza oraria. E che non arretra di fronte al prevedibile attacco di Susanna Camusso (“il ministro si sente Ufo Robot, la smetta di scherzare”) e delle confederazioni, consapevoli che in ballo non è tanto un risibile “ritorno al cottimo”, quanto di nuovo il totem del contratto unico. Bene anche perché Poletti torna a parlare il linguaggio iconoclasta dell’avvio del governo Renzi, del Jobs Act e della rottamazione dei corpi intermedi, in un periodo in cui molti suoi colleghi, e lo stesso premier, sembrano consegnarsi al politicamente correttissimo e cercano alibi per mascherare quello che assomiglia molto a un assistenzialismo pubblico di ritorno dove il merito soccombe a un’evidente pialla egalitaria. Per non parlare delle ricadute sui conti pubblici. Il welfare di Matteo Renzi pare colto da una frenesia per i bonus: dopo gli 80 euro ai dipendenti – che aveva un senso benché abbia fallito sull’obiettivo di rilanciare i consumi – ecco quello da 500 per gli insegnanti, card ricaricabile governativa da spendere in cultura: libri, musei, teatri, anche cinema. Bonus a coronamento della riforma semi-abortita della Buona scuola. Poi nella legge di Stabilità, oltre ai confermati bonus su ristrutturazioni, elettrodomestici e mobilia, ecco spuntare i non ancora definiti bonus e sussidi “per i poveri”, per gli over 50, e naturalmente per esodati e Mezzogiorno. E finalmente la novità assoluta: il bonus sempre da 500 euro per chi compie 18 anni, per “combattere il terrorismo con la cultura”.

 

Il pacchetto difatti è lo stesso, quello per la sicurezza, e comprende l’estensione alle forze dell’ordine dell’altro bonus da 80 euro, in questo caso senza soglie di reddito “purché operative”. Ma poiché, come da qualche tempo predica il capo del governo, la minaccia non si fronteggia guerreggiando “senza strategia”, e nell’attesa strategica “occorre riaffermare la nostra identità”, i 550 mila italiani che ogni anno diventano diciottenni “potranno usufruire di una carta, un bonus da 500 euro a testa, per poter partecipare a iniziative culturali”. Al ministero preposto, i Beni culturali appunto, diretto da Dario Franceschini, si devono essere ingelositi e alla finalità anti Isis ne hanno aggiunta un’altra, più pedagogica, “per riportare i giovani a consumare cultura a pagamento, riscoprire il valore del copyright per una generazione che scarica tutto gratis, dare una mano a un’industria da tempo in affanno” (quella artistica, certo, e a rimorchio, perché no, anche quella della Siae). Dunque, dvd, cinema e teatro pagati dallo stato per chi entra nella maggiore età. Non però “programmi applicativi né abbonamenti alla pay tv”, secondo una solerte nota governativa.

 

[**Video_box_2**]A prendere tutto questo sul serio, come del resto vuol fare Renzi, è dunque lecita l’ovvia domanda: chi paga? La risposta renziana è pronta, e si tratta – strano – dei due miliardi di flessibilità europea legati all’emergenza migranti, ai quali per qualche giorno Palazzo Chigi ha sperato che si aggiungesse un altro po’ di flessibilità per lo sforzo antiterroristico. E siccome quei soldi erano stati impegnati per il taglio dell’Ires sulle imprese già dal 2016, ecco di nuovo Renzi: “Li dirottiamo su questa emergenza, per ogni euro investito in sicurezza deve essercene un altro investito in cultura”. Sì, ma gli sgravi fiscali? Un altro ministro, Pier Carlo Padoan dell’Economia, ha però spiegato che la flessibilità europea, specie la clausola migranti, è tutt’altro che scontata, e se non arriva “ci adegueremo alle regole come abbiamo sempre fatto”. Dunque il bonus diciottenni è ancora in attesa di copertura, e comunque se non ce l’avrà contribuirà per la sua parte (275 milioni l’anno) ad aumentare strutturalmente il deficit pubblico, con un altro sussidio erga omnes, che non appare finalizzato a un investimento, o almeno a un obiettivo convincente. Quello degli 80 euro, appunto, lo era. Così come il bonus bebè berlusconiano, che intendeva fare qualcosa per rilanciare la natalità. Qui, come per gli insegnanti, i 55enni, il sud, le tasche di Renzi (pardon, le nostre), si aprono a tutti. Cercare consenso, ci sta. Ma a forza di cercare troppo consenso si rischia di non trovare più il Rottamatore.

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