Pedro Passos Coelho (foto LaPresse)

Passos dopo Passos, la Troika va

Marco Valerio Lo Prete
All’inferno e ritorno. Non è soltanto un film. Pedro Passos Coelho è infatti il primo leader europeo di governo a essere stato eletto nel 2011 con una lista di vincoli alla spesa pubblica e riforme strutturali già redatta dalla Troika.

Roma. All’inferno e ritorno. Non è soltanto un film. Pedro Passos Coelho è infatti il primo leader europeo di governo a essere stato eletto nel 2011 con una lista di vincoli alla spesa pubblica e riforme strutturali già redatta dalla Troika, ad aver governato per quattro anni, e poi a essere rieletto nonostante tutto ciò. All’inferno e ritorno, appunto. Vale anche per l’economia portoghese, con il pil locale diminuito per tre anni consecutivi dal 2011 (meno 1,8 per cento, poi meno 4, quindi meno 1,1), che poi ha visto la luce lo scorso anno (più 0,9 per cento) e adesso non galopperà ma almeno si muove stabile in terreno positivo (più 1,6 per cento atteso nel 2015, e numeri simili fino al 2017). Il tasso di disoccupazione del paese iberico aveva sfiorato il 17 per cento nel 2013, adesso è sceso al 12 per cento, anche se ogni giornale occidentale che si rispetti ha redatto negli scorsi anni il proprio reportage sull’emigrazione di giovani portoghesi a caccia di un posto di lavoro, pure nelle ex colonie africane.

 

Il primo ministro di centrodestra ha guidato la coalizione moderata alle elezioni e ha vinto la maggioranza relativa con il 38,5 per cento dei consensi, in calo dalle elezioni del 2011, ma comunque distante dal 32,4 per cento del Partito socialista. Governo di minoranza a trazione conservatrice, con appoggio esterno della sinistra, questo predicono gli osservatori; un’ondata di instabilità politica e nuove elezioni a breve, dicono i più pessimisti. Possibile. Ma intanto è difficile negare che la Troika passa e i consensi possono anche restare. Lisbona infatti è uscita dal tutoraggio onnicomprensivo del terzetto composto da Commissione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale, adesso cammina sulle sue gambe, e i leader che hanno guidato il paese attraverso questa fase anomala per la democrazia europea riescono a vincere le elezioni. Non è poco.

 

L’effetto-Tsipras, certo, ha pesato. Non però quel contagio radical-rivoluzionario che in molti si attendevano dopo l’elezione di inizio anno del premier ellenico Alexis Tsipras e la sua successiva sovraesposizione mediatica nella singolar tenzone con i creditori internazionali. L’effetto-Tsipras, piuttosto, ha colpito il Partito socialista portoghese a cominciare da quest’estate; fino ad allora tutti i sondaggi davano i socialdemocratici come vincenti in vista delle elezioni di domenica, anche grazie alle loro posizioni moderatamente anti austerity, poi però il bagno di realismo inflitto a Tsipras (dal trio Merkel-mercati-elettori greci) sembra aver placato gli animi. E così la piattaforma “Portugal à Frente”, “Avanti Portogallo”, di Passos Coelho ha retto eccome nelle urne.

 

In positivo, siamo al ribaltamento della “Juncker rule”, o “maledizione di Jean-Claude Juncker”, quella lanciata alla metà degli anni 2000 dall’allora primo ministro lussemburghese, oggi presidente della Commissione Ue, secondo cui i governi sanno quali sono le riforme necessarie per i rispettivi paesi ma allo stesso tempo non sanno come essere rieletti se decidono di attuarle per davvero. La “maledizione di Juncker” era, non a caso, una delle formule più frequenti sulle labbra dei leader brussellesi, Romano Prodi e Mario Monti inclusi. Esattamente un anno fa, però, di questi tempi, il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, durante la sua trasferta americana a Jackson Hole, disse che la crisi nata sulla scorta di Lehman Brothers aveva cambiato le cose. “Oggi i governi sanno che, se non faranno le cose giuste, spariranno dalla scena politica perché non verranno rieletti”, disse Draghi. Passos Coelho è lì a dimostrarlo. La “Draghi rule” è più consona ai nostri tempi di quanto non sia la vecchia “Juncker rule”.

 

[**Video_box_2**]E’ quanto sostenuto lo scorso agosto, in una intervista a questo giornale, dall’economista svedese Anders Åslund: “Durante i 5 anni della crisi dal 2008 al 2013 – disse Åslund a Luciano Capone – 19 governi su 28 dell’Ue sono stati mandati a casa, mentre 8 sono stati rieletti, quelli di Estonia, Finlandia, Germania, Lettonia, Olanda, Polonia, Svezia e Lussemburgo. Questi 8 governi hanno due cose in comune: sono di centrodestra e hanno fatto politiche di austerity”. Passos Coelho gli ha dato ragione per la nona volta.