Fare squadra per frodare meglio: dal fallimento della Enron al crac Parmalat

Davide Morcelli
Ci vollero 16 anni per far crescere il valore dell'azienda da 10 miliardi di dollari a 65 e soltanto 24 giorni per andare in bancarotta. Questa, in estrema sintesi, la parabola discendente della Enron, una delle più grandi multinazionali americane. Ecco altre due pellicole per capire la crisi restando seduti in poltrona.

Ci vollero 16 anni per far crescere il valore dell'azienda da 10 miliardi di dollari a 65 e soltanto 24 giorni per andare in bancarotta. Questa, in estrema sintesi, la parabola discendente della Enron, una delle più grandi multinazionali americane. Nata nel 1985, dalla fusione di altre due società, operante soprattutto nel settore dell'energia e fallita improvvisamente nel dicembre 2001. Lascia un debito di oltre 10 miliardi e 20.000 persone senza lavoro e senza pensione perchè erano state pagate con le stesse azioni della società. Il nostro viaggio nella crisi fa un passo indietro, a sette anni prima del 2008. Nonostante l’eco dell'11 settembre, l’economia mondiale sembra in ottima salute. Eppure, come un fulmine a ciel sereno, scoppia il caso di una delle più grandi frodi della storia degli Stati Uniti. In realtà, qualcuno aveva visto l'uragano arrivare. Voci fuori dal coro, considerate poco autorevoli e ostili alla nuova era di prosperità. “Ask why” era il motto della Enron. Bello. Geniale. Infatti qualcuno si era chiesto il perché di una crescita tanto rapida e poco trasparente. La mancanza di scrupoli dei trader Enron arriverà a causare appositamente blackout in California per far aumentare il prezzo dell'energia. Il caso viene dettagliatamente ripercorso nel docufilm del 2005 dal titolo “Enron: the smartest guy in the room”, chiaro riferimento alla sensazione di superiorità e furbizia dei lavoratori dell'azienda. Documentario dalla struttura classica e lineare ma efficace nel riassumere una vicenda articolata e complessa che mostra numerosi intrecci anche con il mondo politico. Frodi di simili dimensioni e di tale durata sono possibili infatti soltanto grazie a una rete organizzata in grado di muovere gli ingranaggi giusti ai livelli più alti. Molto interessante la parte del film sugli esperimenti dello psicologo Stanley Milgram riguardo all’obbedienza alle autorità. Tutti i livelli più bassi dell’azienda erano complici, ma nessuno obiettava gli ordini, giustificando le operazioni illecite, come ha mostrato Milgram, in quanto promosse dai capi superiori. Il film è disponibile sottotitolato in italiano.

 

 

Ci spostiamo ora a Parma, precisamente a Collecchio, unica tappa italiana del nostro viaggio. Copione simile e dinamiche simili, cambiano solo ambientazioni e nomi. Verso la fine del 2003 scoppia il crac Parmalat. Una delle più grandi bancarotte fraudolente di un’azienda europea. Certo, le viuzze del centro storico di Parma sono molto diverse dalle grandi autostrade di Houston (sede della Enron). Le logiche però sono le stesse e non solo rispetto al caso precedente, ma anche uguali tra “prima” e “seconda” repubblica. Occorre riscuotere consensi, essere credibili, persino simpatici e molto popolari per sostenere un grande castello di carte. “Per stare nella 'serie A' del capitalismo bisogna giocare a tre punte, con il tridente e avere: un giornale, una squadra di calcio e una banca”. È questa la raccomandazione che in una scena de “Il gioiellino”, riceve un Callisto Tanzi interpretato da Remo Girone. Il Gioiellino, girato da Andrea Molaioli è un vero e proprio film che porta sullo schermo la vicenda della Parmalat. Uscito in sordina nel 2011, la sceneggiatura è abile soprattutto nel mostrare le trame familiari, il contrasto tra la dimensione provinciale e l'aspirazione di invadere i mercati internazionali. Se il docufilm sulla Enron evidenzia grande arguzia nel truccare i conti, dalle scene del Gioiellino emerge, anche, molta ingenuità e mancanza di preparazione  di un management “casereccio” lanciato verso l'arena dell'economia globale. Nel cast, anche Toni Servillo, che interpreta un grigio ragioniere perplesso e spesso in disaccordo con le scelte dell'azienda, ma in fondo ambivalente e complice. Due casi concreti, due film, due gravi fallimenti avvenuti ben prima del 2008. E’ accaduto e riaccadrà. La Parmalat esiste ancora. Ora è francese. La bandiera non deve essere un problema quando “i gioielli” industriali sono ben curati e producono lavoro e ricchezza. Vizi e virtù non hanno confine.

 

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