Janet Yellen (foto LaPresse)

Studiare la strategia della signora Yellen per capire che fine farà il pil americano

Ugo Bertone
La prima lettura (imprecisa per definizione) del pil americano del secondo trimestre segnala una crescita del 2,3 per cento, sotto le aspettative degli analisti. Messa così la prospettiva di un rialzo dei tassi a settembre pare improbabile. Ma Yellen continuerà a tenere impegnati gli operatori di mercato con dichiarazioni un po' fumose e ondivaghe.

Milano. L’economia americana è in ripresa, ma manca qualcosa. L’occupazione sembra solida, ma ci vuole ancora qualcosa per andare sul sicuro. E lo stesso vale per il dollaro, forte ma sempre così esposto alle intemperie internazionali. Insomma, il destino di Janet Yellen, prima donna di sempre alla guida della Banca centrale americana (e, non meno importante, prima democratica dopo più di vent’anni di banchieri repubblicani) è quello di essere quasi sempre sulla palla, ma con una nota d’incertezza che ha poco a che vedere con gli spregiudicati paradossi che furono di Alan Greenspan (“sono stato chiaro? Allora ho sbagliato qualcosa”) o con le decisioni drastiche di Ben “elicottero” Bernanke, l’uomo che ha varato tre Quantitative easing di fila per far ripartire l’America.

 

Ora la sorte vuole che a cambiare rotta, pur con prudenza, dopo sette anni di espansione monetaria, debba essere proprio miss Yellen, cui non sfuggono di sicuro i rischi della manovra. E così, tanto per non commettere errori, il presidente della Fed continua a ripetere da mesi che l’aumento dei tassi si farà, ma solo quando i dati lo consentiranno. Ma i numeri restano ambigui, come le viscere di un animale all’esame di un esperto aruspice.

 

La conferma è arrivata ieri con i numeri del prodotto intero lordo del secondo trimestre. La prima lettura (imprecisa per definizione) del pil del secondo trimestre segnala una crescita del 2,3 per cento. Assai di più dello striminzito aumento dei primi tre mesi dell’anno (più 0,6) ma assai di meno delle previsioni degli analisti, che davano per probabile un balzo del 3 per cento, proprio per compensare la frenata dei mesi invernali, sotto il grande freddo che ha paralizzato gli Stati del nord-est. In sintesi: la ripresa americana non è così robusta da giustificare una stretta del costo del denaro, tanto più pericoloso in quanto la crescita dell’economia dipende dal boom dell’auto, a sua volta alimentato al 90 per cento dal credito al consumo alimentato dai tassi vicini allo zero. Messa così, la prospettiva di un rialzo a settembre pare improbabile.

 

Ma, come hanno ripetuto più volte non pochi scudieri di miss Yellen (ovvero i membri votanti del board della Fed), il dato da guardare con più attenzione di questi tempi è l’inflazione salariale. I posti di lavoro crescono, come ha confermato ieri il dato sui sussidi di disoccupazione. Intanto l’inflazione, sensibile all’andamento del reddito si sta avvicinando all’obiettivo del 2 per cento. Certo, i salari ufficiali sono ancora “freddi” ma le analisi della Fed di San Francisco (il pensatoio di miss Yellen) così come le inchieste dei media, ultima quella del Washington Post, dimostrano che si stanno diffondendo di nuovo bonus e benefit per premiare i dipendenti, soprattutto i più specializzati. M il fenomeno ha ormai investito anche le braccia di McDonald’s e di Walmart, a dimostrazione che la stagione della grande carestia delle buste paga è agli sgoccioli. Insomma, i dati non aiuta più di tanto le scelte del presidente della Fed.

 

[**Video_box_2**]L’andamento della Borsa, che ormai si muove più per operazioni finanziarie (buyback, supercedole) che non per l’aumento dei fatturati potrebbe suggerire la necessità di una frenata. Ma una qualunque mossa che possa rafforzare ancora di più il dollaro potrebbe avere effetti negativi per l’export, semplicemente devastanti per gli ex emergenti, indebitati nella valuta americana (vedi Turchia) e già colpiti dalla frenata degli acquisti cinesi, come il Brasile che ieri, per anticipare una stretta americana (che non c’è stata) ha aumentato il costo del denaro al 14,25 per cento per puntellare il rialzo.

 

Insomma, prima o poi Janet Yellen dovrà decidere. Probabilmente senza il sostegno di numeri chiari e trasparenti, come piacciono a questa minuta colomba che arriva da Brooklyn, moglie dl Nobel George Akerlof. E lei lo farà dopo avere calibrato le virgole. Come ha fatto mercoledì sera. “Prima di aumentare i tassi – si legge nella nota della Fed – dovremo attendere qualche miglioramento del mercato del lavoro”. La novità sta in quel “qualche”, ovvero “some” che, a detta degli analisti, segna un passo rilevante per indicare il probabile aumento a settembre. “Non è un termine a caso – dice un’analisi di JP Morgan – Sta a indicare che la porta è aperta ma che, in caso di imprevisti, si può tornare indietro”. Così è, se vi basta.

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