Il premier greco Alexis Tsipras (foto LaPresse)

Eccoli i nuovi Pigs

Claudio Cerasa
A voler essere bruschi si potrebbe dire che la scelta forse suicida di Alexis Tsipras di dare al popolo greco la possibilità di valutare la bontà del piano proposto dai creditori europei segna l’ingresso sulla scena di una nuova creatura politica che potremmo inquadrare con un acronimo di cui abbiamo già sentito parlare: i Pigs, i maiali.

A voler essere bruschi ma non provocatori e anzi in realtà piuttosto realistici, si potrebbe dire che la scelta forse suicida di Alexis Tsipras di dare al popolo greco la possibilità di valutare la bontà del piano proposto dai creditori europei segna l’ingresso sulla scena di una nuova creatura politica che potremmo inquadrare con un acronimo di cui abbiamo già sentito parlare: i Pigs, i maiali. Fino a qualche tempo fa, il fronte dei Pigs era formato da quei paesi in difficoltà che a un certo punto della loro storia, per evitare di entrare in una spirale autodistruttiva, accettarono di ricevere aiuti finanziari dalla Troika in cambio di una cessione parziale della propria sovranità in materia di riforme strutturali. I paesi maiali, i Pigs, erano Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna e, eccezione fatta per la Grecia, i paesi che hanno eseguito i compiti sono riusciti a restituire i crediti e a uscire in modo più o meno virtuoso dalla crisi economica. Oggi la Spagna cresce al 3 per cento. L’Irlanda al 3,6. Il Portogallo all’1,5. E, prima dell’arrivo di Tsipras, anche la Grecia aveva cominciato a far registrare progressi incoraggianti (con Samaras, novembre 2014, la Grecia uscì dalla recessione dopo sei anni).

 

Oggi la novità è che l’acronimo “Pigs” torna d’attualità non a causa di paesi inadempienti quanto per alcuni populisti che dimostrano di essere incompatibili con l’architettura e le regole europee. I Pigs, oggi, sono rappresentati dai Podemos (P), dai partiti Indipendentisti (I,  e non solo la Lega), dai movimenti alla Grillo (G) e ovviamente dai compagni di Syriza (S). Quest’ultimo è il caso più interessante perché tra tutti i nuovi Pigs è l’unico che si trova al governo. E proprio dal governo sta dimostrando la sua incapacità a stare con un piede in due scarpe e ad accettare il fatto che un paese che chiede aiuti per sopravvivere ha due possibilità: o fare quello per cui è stato eletto, negoziare condizioni più vantaggiose per il suo paese, oppure riconoscere che non è l’Europa incompatibile con la Grecia ma che è la politica dei Pigs incompatibile con l’Europa e con le sue regole e con i suoi aiuti. Il referendum, da questo punto di vista, è la scappatoia perfetta e naturale per un politico ostaggio di una contraddizione mortale. Tsipras è stato scelto per trovare una soluzione non traumatica per il proprio paese ma l’unica soluzione non traumatica e ragionevole per il proprio paese è in contraddizione aperta con i piani rivoluzionari e populisti, è quella di riconoscere la bontà del piano di austerity proposto dall’Europa: aiuti finanziari in cambio non di tassazione a gogò ma di riforme strutturali. Tsipras, così come tutti i campioni del fronte Pigs, è prigioniero, ostaggio di questo problema. E pur non potendolo ammettere apertamente, sa che l’unico modo per essere coerenti con le proprie promesse è quello di uscire dall’euro, trascinando il proprio paese verso una soluzione traumatica non per problemi oggettivi di carattere economico ma per capricci ideologici (la lettura del piano proposto dei creditori, da questo punto di vista, è più che istruttiva).

 

[**Video_box_2**]Il principio di realtà, ovviamente, lo si può negare quanto si vuole se si è in campagna elettorale ma quando si arriva al governo cambia tutto ed è ovvio che in un paese in difficoltà non sempre ciò che è necessario fare coincide con ciò che è necessario fare per essere popolari. Un referendum è un buon modo per non riconoscere un fallimento. Anche se bisognerebbe dire la verità e chiedere di votare per uscire anche dall’euro. Arrivare a tanto però non si può. Non perché la legge non lo prevede ma perché non permetterebbe più al principe del Pigs Party di governare facendo, semplicemente, l’anticapitalista con i capitali degli altri.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.