Susanna Camusso (foto LaPresse)

Telecamere sul Jobs Act

Redazione
Meglio scavare dietro la retorica cigiellina sul “controllo a distanza”

Poteva mancare la polemica sui controlli a distanza? La Cgil lancia l’ennesimo grido di allarme sul presunto attacco ai diritti dei lavoratori, che stavolta verrebbe dalla bozza di riforma dell’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori – la norma che regola i controlli a distanza – appena presentata dal governo. Questa regola è stata scritta nel 1970, quando il prodotto tecnologico più sofisticato consisteva in una telecamera. In quel contesto, aveva senso vietare di installare gli apparecchi che, anche involontariamente, controllano i lavoratori, e aveva senso affidare al sindacato (oppure all’ispettorato del lavoro) il compito di autorizzare le deroghe a questo divieto.

 

Questa regola oggi ha molto meno senso, in un mondo nel quale un semplice iPhone traccia la nostra posizione in ogni momento e, quindi, potrebbe essere dato al dipendente solo se il sindacato lo autorizza. Per evitare conseguenze assurde derivante dall’applicazione integrale dell’articolo 4, il Garante per la Privacy, i giudici, le aziende e i sindacati in questi anni sono dovuti ricorrere a continui adattamenti delle norme, che non hanno risolto il problema principale: la regola è obsoleta e va cambiata. La proposta di riforma del governo affronta invece questo problema: conferma tutto l’impianto del “vecchio” articolo 4, ma precisa che se un apparecchio serve a svolgere l’attività lavorativa oppure a controllare gli accessi al lavoro, si può usare senza dover chiedere l’autorizzazione al sindacato o alla direzione territoriale del lavoro. In questo modo, scompare tutta la burocrazia collegata all’installazione di strumenti che non servono a spiare i dipendenti, ma semplicemente a mandare avanti le aziende. Così, se per il segretario generale della Cgil Susanna Camusso siamo di fronte a “uno spionaggio nei confronti dei lavoratori, difficile non definirlo ‘grande fratello’”, il ministero del Lavoro ieri ha correttamente replicato che la norma sui controlli a distanza “non ‘liberalizza’ i controlli sui lavoratori ed è in linea con le indicazioni del Garante per la privacy”. Non viene messo in discussione nessun diritto, né si apre la porta ai controlli indiscriminati: più semplicemente, viene tolto un potere di veto al sindacato su aspetti che non sono di sua competenza ma possono condizionare molto l’organizzazione delle aziende. Forse è questo il vero motivo per cui la Cgil si sta imbarcando nell’ennesima crociata?

 

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