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La cristianità non c'entra niente: odio il Natale solo perché mi deprime

Costantino della Gherardesca

Meglio regalare realismo, in mazzette di renminbi cinese

Non vogliono presepi, abbatterebbero gli abeti addobbati e asfalterebbero ogni tradizione. Sono una minoranza, ma non sono così pochi. Ogni tanto si fanno sentire, ma la loro voce resta quasi sempre inascoltata. Le loro richieste sono considerate assurde pretese o addirittura manifestazioni del demone globalista. Ma chi sono queste persone che durante le feste si aggirano per le strade delle nostre città e rivolgono sguardi carichi d’odio ai Babbi Natale che ridono ai passanti?

 

Sono forse uomini e donne che hanno a cuore il principio secolare della separazione tra Stato e Chiesa? Si tratta di esseri puri, multiculturali, che vorrebbero delle feste più inclusive verso la comunità palestinese italiana che non si sente rappresentata da un Gesù bambino bianco e biondo come un giovane Jörg Haider?

 

No, niente di tutto questo. Sono persone normalissime. Persone normalissime cui è capitata la sventura di avere un po’ di sensibilità e di buongusto.

 

Inutile nascondersi: io sono una di queste persone. Io, Costantino della Gherardesca, odio le tradizioni cristiane e in particolar modo il Natale. Intorno a me non voglio Gesù bambini né Gesù crocifissi, non voglio buoi né asinelli, non voglio alberi né lucine intermittenti, non voglio messe cantate e soprattutto non voglio i Presepi.

 

E no, non odio il Natale perché minaccia la laicità dello Stato. Non detesto i presepi nelle scuole perché potrebbero urtare gli studenti musulmani. No, non ci sono ragioni altisonanti alla radice di questo mio odio. Non sopporto il Natale e i suoi ninnoli perché mi deprimono. E’ un periodo dell’anno così ammosciante e ricattatorio che anche gli aspiranti suicidi si sentono costretti a rimandare i loro insani propositi fino ai primi giorni dell’anno nuovo: tutto pur di non disturbare la sfinente scansione dei pranzi in famiglia. In giorni come questi, le uniche persone a cui mi sento vicino sono le lesbiche più oltranziste e struccate di Berkeley, disgustate dal patriarcato come io lo sono dai bambini che durante le feste si manifestano nei ristoranti.

 

Cari protettori delle tradizioni, cari cavalieri delle mangiatoie, non ne potevate più di combattere contro un esercito di mondialisti atei senza volto? Allora eccomi qua, finalmente avete qualcuno contro cui puntare il dito, qualcuno da accusare. Un sicario di Soros che – spacciandosi per innocuo presentatore televisivo – vorrebbe vedere la fine delle consuetudini cristiane.

 

Intendiamoci: nessuno pretende di sradicare come se nulla fosse due millenni di cristianesimo, ma se davvero siete così devoti e rispettosi del dolore altrui, perché non mi risparmiate la visione dei vostri festeggiamenti in piazza? Perché non lasciate in pace me e i miei fragili nervi? Se vi piace così tanto il vostro Gesù bambino, andate a inginocchiarvi in una di quelle chiese di cui l’Italia è piena, ritiratevi a pregare in un monastero, oppure prendete sul serio la vostra religione e affondate il naso in un testo di san Tommaso d’Aquino.

  

“Ma perché non te ne vai tu?” potrebbe dirmi qualche simpatico esponente della maggioranza pro-presepista. E, in effetti, non è una cattiva idea. Negli ultimi anni ho sempre fatto il possibile per passare il Natale nei luoghi più scristianizzati del pianeta. Ma al ricatto del Natale, l’Agenzia delle Entrate delle vacanze, non si scappa. Recentemente un assistente di volo della Middle East Airlines (nonostante la presenza di Hezbollah nel parlamento del suo Paese d’origine) mi ha augurato “Buon Natale” mentre uscivo dal velivolo e mi dirigevo verso il luogo dei miei festeggiamenti: la clinica in provincia di Pisa dove porto mia madre a fare fisioterapia. Non potevano istruire l’assistente di volo a salutarmi con una frase più rispettosa della mia psicolabilità? Chennesò: “Sono affranta per la sua dolorosa circostanza”.

 

Basta regali, basta buoni propositi e sogni di gloria: durante le feste scambiamoci il dono del realismo. E se proprio dobbiamo regalarci un sogno, chiudiamo gli occhi e pensiamo intensamente a un futuro globalizzato, spoglio da ogni tradizione, dove l’unico Dio sarà il denaro. Possibilmente, e me lo auguro con tutto il cuore, il renminbi cinese.

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