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Il polo culturale

Un ottagono color ottanio e il sogno (con fantasmi) della Grande Brera

Maurizio Crippa

Un'inedita veste grafica riunisce e valorizza Pinacoteca, Biblioteca Braidense, Palazzo Citterio, insieme a tutte le altre istituzioni culturali del polo museale di Brera: nella speranza che nuova identità visiva aiuti a dare il via ad un progetto ancora offuscato da troppi dubbi

Color ottanio è il colore di Brera, un ottagono è il suo nuovo simbolo e logo (tutti coloro che seguono la grafica si fanno guidare dagli occhi, direbbe Shakespeare). Un ottagono color ottanio per “la nuova identità visiva del progetto Grande Brera, perché il verde-blu ottanio è cifra d’eleganza, e cosa c’è di più elegante a Milano di Brera, ma è anche simbolo di armonia, rilassa la mente e allevia i conflitti interiori. Anche se, siamo certi, specialisti del design e del branding come il gruppo Qubit con Carmi e Ubertis, professionisti dell’immagine che già vinsero nel 2020 il Compasso d’oro con il nuovo logo degli Uffizi, non hanno avuto bisogno di ispirarsi alla cromoterapia. E’ bastato “il desiderio di connettere, dal punto di vista visivo e del brand, Pinacoteca, Biblioteca Braidense, Palazzo Citterio” e tutte le altre istituzioni culturali che fanno parte di quel poliedro magico che è il polo museale di Brera


A presentarne la nuova “identità visiva” è stato ieri Angelo Crespi, direttore da meno di un anno, giunto a Milano con l’idea guida di mettere a sistema un’istituzione di altissima qualità ma ancora poco riconoscibile, anche perché diffusa e multiforme (ne fanno parte anche l’Osservatorio astronomico, l’Orto Botanico, l’Istituto lombardo Accademia delle scienze e lettere, l’Archivio Ricordi, la Società storica di Brera). Partenza dunque dal nuovo branding, presentato ieri in una Milano zuppa di nubi color ottanio. Ma soprattutto era atteso, il direttore Crespi, ad annunciare la sua prima grande scommessa. La mattina di Sant’Ambrogio – sacra per i milanesi e melomani, che già a settembre sentono aria di vigilia – aprirà dopo quattro decenni di sofferenze e deliri Palazzo Citterio, che avrebbe dovuto esser “Brera Modern” e ora sarà più sobriamente il polo delle collezioni del Novecento (quelle non emigrate nel frattempo al Museo del Novecento in piazza Duomo) e delle esposizioni temporanee. E’ tutto pronto, assicura Crespi, le opere inizieranno a breve il trasloco. Per il momento c’è da affidarsi al “mother brand”, dice, “per dare ancora più forza a un luogo già percepito dal visitatore come un complesso unitario” anche attraverso il nuovo sistema di wayfinding, (“segnaletica”, per i non foresti) curato da Luciano Galimberti & Partners.


Basterà il restyling della comunicazione? Per ora sul nuovo mantello color ottanio della “Grande Brera” aleggia una nuvola, o un fantasma. L’apertura di Palazzo Citterio era stata la scommessa d’immagine, e l’ambizione di scrivere il proprio nome di ministro negli annali, di Gennaro Sangiuliano, che si era molto speso per l’operazione, va detto, una sorta di nume tutelare in trasferta. Ora non c’è più, e la dissolvenza incrociata con il profilo di Alessandro Giuli non è ancora compiuta. Il neo ministro è altrettanto interessato a che tutto proceda bene, non c’è da dubitarne, a Milano verrà, ma al momento ha altre grane e altri investimenti simbolici cui pensare.


Ma c’è un fantasma lasciato da Sangiuliano più minaccioso e palpabile. Sono i fantasmi dei cinquanta addetti che serviranno, da qui a poche settimane, per aprire e far funzionare il nuovo museo. Che ancora non ci sono (sindacati già sul piede di guerra). Il direttore Crespi assicura che arriveranno in tempo. C’è un dl speciale che Sangiuliano aveva disposto per l’assunzione in deroga del personale necessario, ma non è firmato. E senza firma, per poter assumere via concorso cinquanta persone, altro che entro sant’Ambrogio, ci vorrebbero anni. E’ sicuro che Giuli provvederà, ma ad aleggiare sopra tutto e tutti, e a turbare i sonni non del direttore o del ministro, ma della cultura museale italiana, c’è un altro fantasma. Quello di James Bradburne, primo direttore post riforma di Brera, quando gli specialisti stranieri non facevano paura, che per otto anni aveva ripetuto, inascoltato: va bene l’autonomia, vanno bene i grandi musei, ma finché il direttore di Brera o degli Uffizi non potrà assumere nemmeno un usciere, i grandi musei come esistono nel mondo in Italia non esisteranno. La grande Brera color ottanio è pronta, speriamo arrivi anche il resto.
 

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"