Il nuovo direttore della Pinacoteca di Brera ha un mandato storico, aprire Palazzo Citterio

Maurizio Crippa

Non solo il nuovo polo del Novecento. Qualche idea pragmatica per fare museo. Parla il direttore Angelo Crespi

Milano. “Prima della prima” è titolo ancora in fase di menabò, c’è tempo per i dettagli e gli inviti, ma se evochi “la prima” e la data è il 7 dicembre, a Milano, entri direttamente in zona Grande evento. Anche se non si tratta i musica lirica alla Scala, ma di qualcosa che avverrà – ci hanno messo la faccia, come si dice, ministro e direttore – lì vicino, a poche centinaia di metri, al numero 12 di via Brera. Palazzo Citterio, insomma. E poiché è un evento che Milano attende dal 1972, cinquantadue anni e una montagna di pasticci e magagne da riempirci manuali della cattiva amministrazione dei beni culturali, l’inaugurazione del nuovo polo espositivo della Pinacoteca di Brera dedicato al Novecento sarà davvero una data da calendario. Una mission finalmente non più impossibile, anche se c’è ancora tanto da fare. Ma stavolta è vietato fallire. Dunque, appena arrivato ai primi di gennaio, con passo felpato e con un’agendina che si riempiva in fretta di appunti e appuntamenti, il nuovo direttore ha fatto una mossa non soltanto simbolica. Anziché prendere possesso del suo (spartanissimo) ufficio nello storico palazzo al numero 28 di via Brera, dove ci sono la Pinacoteca, la magnifica Biblioteca e il centro nevralgico del complesso, si è portato il lavoro in uno stanzone al pianterreno del Palazzo Citterio, non ancora aperto. Lì fa le riunioni, riceve collaboratori e ospiti e come un diligente capocantiere tiene sott’occhio ogni metro dell’ultimo miglio ancora da percorrere. 

Angelo Crespi è stato nominato direttore dalla Pinacoteca di Brera, uno dei grandi musei autonomi d’interesse nazionale, lo scorso 15 dicembre, alla scadenza dei due mandati di James Bradburne sotto la cui direzione la Pinacoteca era stata completamente riallestita. Un compito impegnativo, per l’ex direttore del MaGa di Gallarate, giornalista e organizzatore culturale. Ma, con evidenza, Crespi è arrivato a Milano proprio mentre il destino, e anche la determinazione di Gennaro Sangiuliano, alzavano per il nuovo direttore la palla del match point. Dopo decenni di ritardi, essere il direttore di Brera che inaugurerà la parte “modern” di Palazzo Citterio, coronando il sogno di Franco Russoli di portarci la gran mole di opere novecentesche affidate a Brera – le collezioni Jucker, Vitali, Mattioli a Jesi, roba di primo livello mondiale, ma solo due arriveranno – è sufficiente per a entrare nella storia. Ma bisogna muoversi bene, pragmatici. Per il ministro Sangiuliano, Milano è un banco di prova complesso e interessante, Crespi lo sa. Gli Uffizi, o Capodimonte, hanno percorsi in sostanza già impostati.

La “Grande Brera” è un cantiere aperto (letteralmente) e può contribuire a far compiere un nuovo balzo in avanti a Milano come capitale di cultura e turismo e diventare un benchmark di una gestione museale ampia e collaborativa (il museo comunale del Novecento, la Triennale, la  Scala sono per Crespi interlocutori), schivando la tentazione del bigliettificio e dell’overtourism senza qualità. Arriveranno nel nuovo museo oltre alle collezioni del Novecento anche l’ultimo Ottocento ora costretto in poche sale, e la Fiumara di Pelizza da Volpedo, una diversa versione del Quarto Stato che è al museo del Novecento. Crespi, che finora intelligentemente ha evitato facili dichiarazioni, per la prima volta, in una mattina di diluvio, ha aperto le porte del cantiere di Citterio, magnifico palazzo settecentesco, e ha parlato del suo lavoro con un gruppo ristretto di giornalisti, partendo proprio dal mandato affidatogli.

Importante già dal nome: ci sarà un nuovo logo, “Grande Brera”, spiega. Non solo un restyling di comunicazione. E’ proprio il nome con cui Russoli designava la sua visione: un grande museo che unisse due palazzi storici ampliandoli, ma che soprattutto unisse in un ideale percorso anche il Giardino botanico di Brera – parte del complesso – e soprattutto fosse aperto alla città, quartiere vivo. “Brera nel cuore di Milano”, secondo l’espressione di Russoli che Bradburne negli anni scorsi aveva rilanciato. La “Grande Brera” di cui racconta Crespi mentre scendiamo la grande scala in fondo al cortile che porta al piano ipogeo realizzato negli anni Ottanta dall’architetto James Stirling – sarà sede di mostre temporanee  o site specific – prima di salire al piano nobile, dove ci saranno le collezioni permanenti – è un disegno di lavoro pragmatico: i sogni e le visioni erano già tutte lì, accumulate dai suoi predecessori e ormai con qualche patina del tempo (non tutto dei progetti predeisposti nello scorso decennio sarà realizzato, il definitivo Citterio è un compromesso ben fatto tra diverse ipotesi). Ma Milano ha una sua metodologia illuminista e pragmatica, e Brera ne è un esempio, per cui non si butta mai via il lavoro degli altri, ci si impegna a migliorarlo. Così è per una direzione di museo affrontata senza proclami: “E’ un lavoro complesso”, dice Crespi, “siamo tenuti a rispettare quattrocento leggi e avere competenze gestionali e amministrative”.

Essere a un tempo Responsabile unico del procedimento (Rup), della centrale acquisti, degli appalti, della sicurezza e della salute, del personale. Dopo i primi otto anni, la riforma dell’autonomia ha ancora strada da fare. A partire dal nodo eterno del personale, che sempre va attinto a concorsi pubblici gestiti a Roma: per aprire a dicembre servono 30 o 40 nuovi addetti. Non moltom tempo. “Il primo obiettivo è essere pronti per l’apertura, ma il lavoro è più ampio”. I numeri? Non conta solo gonfiare la biglietteria. “Sulla Pinacoteca è stato fatto un lavoro importante e apprezzato, e se i visitatori nel 2023 sono stati  oltre 466 mila, superando il pre Covid,  il motivo c’è. Non è mio interesse intervenire lì. Per come è strutturato il museo è molto difficile andare oltre quei numeri, che ci mettono al pari della Galleria Borghese di Roma. Ma è poi questo il vero scopo? Lo scopo di un museo è rendere accessibile la conoscenza. Aprire il polo di Palazzo Citterio può certo aumentare una quota di visitatori, ma soprattutto puntiamo a espandere il percorso sia museale che di scoperta di questo quadrilatero magnifico”. Le novità sono interessanti: sarà aperto sul lato di via Fiori Oscuri di Palazzo Brera il percorso che attraversa il Giardino Botanico e si ricongiungerà ai giardini di palazzo Citterio svelando al pubblico, senza obbligo di biglietto, un angolo verde e urbanistico di altissima qualità del centro di Milano, antica memoria di quel che un tempo era “la Braida del Guercio” che oggi è completamente precluso. Saranno rifatte comunicazione e totem, ripulito il cortile centrale. Ci sarà poi da pensare all’Accademia, in attesa di nuova sede. Si sta studiando con una compagnia telefonica un metodo per monitorare i flussi che entrano ogni giorno nel quadrilatero di Brera. “Con Beppe Sala, con Fontana, con  Boeri per la Triennale stiamo pensando a come valorizzare una città che ha una elevatissima qualità artistica e architettonica”. L’idea insomma che un museo moderno sia molto più dei suoi quadri o delle sue mostre, ma un agente attico della città. Nel segno del pubblico, ma coinvolgendo i privati, i cittadini. “Stiamo preparando il progetto Patto per Brera, con cui individuare una trentina di imprenditori che decidano di mettere su Brera il contributo Art bonus. La Scala lo fa da tempo con esiti eccellenti, Brera ancora poco, negli scorsi anni si è puntato più sul contributo degli Amici di Brera e donazioni private. Ma aprire il museo a tutta la società è un altro dei miei mandati”.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"