Arte ambientale

Opere interattive, tutte firmate da artiste donne: al Maxxi una mostra che non annoia gli studenti

Giulio Silvano

"Ambienti 1956-2010 Environments by Women Artists" è l'esposizione dove si trova anche il gabinetto più virale di TikTok: si tratta di un parallelepipedo pieno di specchi dove, mentre nessuno ti vede, puoi guardare l'esterno come se non ci fossero pareti

Il gabinetto più virale di TikTok si trova nel piazzale del Maxxi di Roma. Entri in un parallelepipedo di specchi e puoi fare pipì mentre nessuno ti vede, ammirando però lo spazio intorno a te come se non ci fossero pareti. Il vetro cristallino permette di non perdere nemmeno un istante del mondo là fuori. E infatti l’opera-bagno dell’artista Monica Bonvicini si chiama "Don’t miss a sec", un ragionamento portato all’estremo sul sentirsi esposti, sull’intimità, sulla Fomo e anche sull’essere obbligati a guardarsi intorno senza esser visti. “E se quelli che ti camminano intorno fossero parte di una performance?”, si chiede l’artista. Gli interni che mimano quelli del carcere mettono anche in luce le condizioni dei prigionieri invisibili costretti all’umiliazione, altro livello di lettura. Ma il bagno sul piazzale è solo una delle tante interattive opere d’arte ambientale della nuova mostra curata da Andrea Lissoni, Marina Pugliese, Francesco Stocchi: Ambienti 1956-2010 Environments by Women Artists II, al Maxxi fino a ottobre. Mai visti così tanti ragazzini sereni in un museo italiano. Niente sbuffi davanti ai dipinti, niente scroll or die passeggiando tra le statue dei cesari, niente scene da soporifera gita di classe.

 

@dropsofjupiter9 Avresti il coraggio di andare al bagno qui? Si tratta dell'installazione al MAxxi di Roma di Monica Bonvicini, “Don't Miss a Sec” che parla dei confini della privacy e della fomo tipica di quest'epoca #bagniaroma #instatoilet #museoroma #doveandarearoma #arteroma Yellow - Acoustic - Beth

 

Tutti scalzi. Corse, selfie, addirittura qualche piccolo grido di gioia in attesa di entrare in uno degli ambienti, apparentemente ordinari e giocosi, frutto di ragionamenti concettuali, esistenziali, poetici e politici. Tutte artiste donne, senza restrizioni geografiche o temporali, tanti ambienti diversi che danno da pensare, attualissimi anche quando sono stati ideati negli anni 50. “Non una riscoperta di artiste, di singole figure ignorate, bensì l’occasione per offrire una rilettura critica del loro contributo nella storia dell’arte”, scrive il curatore e direttore Stocchi. Opere ingombranti, scomode, spesso radicali, da approcciare con i sensi, e poi con la testa, dopo l’esperienza, che sia tramite il calore, il buio, la luce o il freddo. Dopotutto l’artista Allan Kaprow parlava di environment come di “una forma d’arte realizzata in qualsiasi materiale, includendo luce, suoni e colore, che riempie una intera stanza (o spazio esterno) circondando lo spettatore”

Quante instagram opportunity, ma anche quanti spunti di riflessione – un riuscito equilibrio. Un gonfiabile di plastica trasparente multicolor – dal titolo provocatorio di Penetración/Expulsión – fa rivivere l’uscita dalla vagina materna. Penetrazione ed espulsioni simboliche, ma anche fisiche (per fortuna uno steward ti aiuta a uscire, come un forcipe umano).

 

 

Per la prima volta la parola immersività legata a un’esperienza museale non è solo un trucchetto di marketing, non è un Van Gogh zoommato e ballerino proiettato sul muro, un impressionista che diventa decoro. Qui si entra, ci si infila, si attraversano spazi nuovi. La dittatura del video-digitale crolla anche solo di fronte alla ricostruzione de L’Ambiente spaziale: “Utopie”, di Nanda Vigo (e Lucio Fontana) presentato per la prima volta alla XIII Triennale di Milano. Moquette e vetro e luci rossastre e bronzee creano la possibilità di vivere i concetti di arte cronotopica che rese famosa la designer. Una stanza bianchissima, eterea, piena di piume dell’artista Judy Chicago invita a diventare, su un piedistallo soffice, delle statue in movimento. Presentata per la prima volta a Los Angeles nel ’66, la Feather room, come molti altri ambienti qui ricostruiti, ha un effetto straniante, si prova un temporaneo senso di smarrimento. E così con la stanza frigo di Monica Assäel o i tendoni cunicolari di Aleksandra Kasuba con musica da kolossal disneyano in sottofondo. In certi momenti c’è un effetto quasi psichedelico. E poi rumori di uccelli, cuscini, colori. Ambienti, avviata dalla Haus der Kunst di Monaco trova a Roma un ambiente aggiuntivo: il Maxxi stesso negli spazi progettati da Zaha Hadid, e che con questa mostra sembra davvero inaugurare una nuova stagione, se non altro più divertente.

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