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La recensione

Il fascista, il comunista, l'avventuriero: tre vite diverse per raccontare il Novecento  

Giulio Silvano

Drieu, Aragon, Malraux sono i tre protagonisti del romanzo Fratelli separati di Maurizio Serra. Tre vite, tre scrittori, prima uniti e poi divisi. Ogni tanto si rincontrano (ideologie, storia e “bisogno di affermazione estetica” permettendo)

Il recente dibattito da italietta feroce e puntigliosa che porta a fare le domande “lei si sente antifascista? Lei si sente anticomunista?” – quesiti sterili e semplicistici le cui risposte sono giusto buone per la viralità da talk e da giornale online e che servono più che altro per imbarazzare l’avversario politico – avrebbe bisogno di una bibliografia ampia che sorregga l’antipopulismo. E sappiamo quanto l’approfondimento sia nemico della prima serata e del reel.

Ma sarebbe da consigliare un libro che possa aiutare a uscire fuori dalle rozze acrobazie retoriche e che porti a chiedersi a cosa servono le etichette, quelle autoinflitte e quelle che appiccichiamo agli altri sia nel presente che a posteriori. Il libro è Fratelli separati di Maurizio Serra, libro che venne molto apprezzato da Giorgio Napolitano e che è stato ristampato dall’editore Settecolori con una nuova prefazione dell’autore, prefazione che è anche un manifesto sul lavoro di intellettuale. Serra, unico italiano a sedere tra gli immortali dell’Académie, nel seggio che fu di Pierre Loti, è un maestro della biografia come abbiamo visto con il suo Malaparte (Marsilio), o con il suo D’Annunzio (Neri Pozza). Qui sceglie di seguire tre vite, che sono l’opposto delle rette parallele, si incontrano ogni tanto: ideologie, storia e “bisogno di affermazione estetica” permettendo. Le tre vite – cioè i tre fratelli separati – sono quelle di Pierre Drieu La Rochelle (“il fascista”), Louis Aragon (“il comunista”) e André Malraux (“l’avventuriero”). Tutti nati a Parigi, più o meno coetanei. Tutti e tre scrittori, prima di ogni altra cosa, almeno in certi momenti della vita. Mostri sacri della cultura francese, non sempre facili da trattare, prima molto uniti e poi divisi, appunto, dalla storia, dagli eventi di quel secolo meraviglioso e complicato che è il novecento.

Drieu il saturnino, “eterno bastian contrario, refrattario a ogni conformismo politico”, che “bruciava i libri, le amicizie, gli amori in pochi mesi” senza riuscire a “ritrovarsi in alcun disegno stabile e compiuto”. Aragon, “uno dei meno provinciali degli scrittori francesi”, di cui qui vediamo tutti i tira e molla con surrealismo e comunismo, e tutte le ambivalenze che un poeta può avere con la militanza. Malraux, il dannunziano-gollista – “non vi è forse esponente della letteratura francese, dopo Chateaubriand e Hugo, che abbia a tal punto badato a edificare da vivo la propria statua”. Tre amici che rappresentano pezzi del Novecento, sfumature caleidoscopiche delle ideologie e della vocazione artistica e intellettuale, dove a volte l’adesione al fascismo o al comunismo può diventare solo una fuga da sé stessi. Drieu, che nell’ultimo decennio di vita fu fascista, morirà suicida nel ‘45 prima di finir vittima della caccia al collaborazionista. Aragon e Malraux sopravvivranno più di un trentennio alla sua scomparsa, uno diventando “capofila degli intellettuali comunisti”, l’altro il primo ministro della Cultura della nazione, strada verso il Pantheon. 


La biografia come genere letterario ha varie possibilità di effetti sul lettore, e qui sono innumerevoli, proprio come lo sono i percorsi e i talenti dei tre “fratelli”. Capire il lavoro dello scrittore alla luce del coinvolgimento politico, certo, ma anche rendersi conto di quanto le etichette postume siano solo la punta di un iceberg variegato, soprattutto in un secolo che sembra fatto apposta per ospitare le gesta e le nevrosi di uomini straordinari. Piccola postilla: sul discorso anticomunismo e antifascismo, whatever it means, è bello ricordare che il memoir autobiografico che Malraux pubblicò in vita era intitolato Antimémoires.

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