L'opera infinita

"Nerone" torna in scena. Il penultimo, immenso, lavoro di Boito

Alberto Mattioli

L’ultima rappresentazione dell'opera in Italia risale al 1957, al Teatro San Carlo, diretta da Gianandrea Gavazzeni. Adesso a riesumarla è il Teatro Lirico di Cagliari, fino al 18 febbraio

Di tutta la storia dell’opera, Nerone di Arrigo Boito è uno degli oggetti più misteriosi. Anche perché non lo si fa mai: l’ultima rappresentazione italiana risale al 1957, al San Carlo, l’ultima esecuzione in concerto al ‘75, alla Rai di Torino, diretta manco a dirlo da Gianandrea Gavazzeni. L’autore ci lavorò, più o meno, per sei decenni, visto che le prime idee risalgono agli anni Sessanta dell’Ottocento e, alla morte nel 1918, era completo il libretto in cinque atti, che per inciso piacque moltissimo a uno che un po’ di teatro si intendeva come Verdi, e quasi finita la partitura dei primi quattro. Purtroppo Boito non musicò il quinto, con l’imperatore che suona la cetra perseguitato dalle Erinni davanti a Roma in fiamme. Quel che mancava lo scrissero Smareglia e Tommasini su mandato di Toscanini, pare anche intervenendo sul resto (l’edizione critica manca, e soprattutto non si sa – per ora – quando Boito compose le varie parti dell’opera): Toscanini se ne innamorò e diresse la prima postuma nel ‘24 alla Scala. Poi Nerone circolò parecchio, nel ‘26 perfino all’Arena e nel ‘50 a Caracalla, o tempora. Resta da capire perché Boito ci mise tanto per non finirla. L’ipotesi più gettonata è che fu intimidito dall’enorme materiale storico, archeologico, musicale e letterario che aveva raccolto e studiato sull’argomento. L’erudito schiacciato dalla sua stessa erudizione è un caso raro ma non unico

  

Adesso a riesumare Nerone provvede il Lirico di Cagliari, nei secoli fedele alla sua vocazione di inaugurare la stagione con titoli desueti (si replica fino al 18, ed è adesso o mai più). Tanta fatica per molto, comunque. Nerone è un tipico prodotto dell’alessandrinismo dell’Arrigo. Il libretto, in boitese stretto, va letto tenendo accanto un buon dizionario, meglio non fidarsi di Google; la musica si segnala per preziosità armoniche, trouvailles orchestrali, wagnerisimi assortiti, continui declamati e pochissima melodia. Tutto sommato, meglio questo dell’altro Boito, quello invece di successo, Mefistofele, ma lo dice uno cui il Mefistofele ha sempre fatto l’effetto indigeribile della peperonata a Ferragosto. Non so se Nerone sia una tappa imprescindibile della storia del teatro musicale; del gusto, certamente sì, come quei salotti fin-de-siècle che ieri ci sembravano insopportabilmente soffocanti e oggi, soffocati dal minimalismo, forse rimpiangiamo. Insomma, è stata una bella serata.

   

Il merito spetta in primo luogo a Francesco Cilluffo, sommo sacerdote dell’opera italiana fra Verdi e Puccini, così convinto da Boito da convincerne anche l’ottima Orchestra (buono anche il Coro, ma avrebbe bisogno di rinforzi) e soprattutto il pubblico. Quella di Nerone è una tipica parte spaccavoci del secondo Ottocento, tutta un declamato sul passaggio di registro: Mikheil Sheshaberidze è un Otellone di provincia che fa le note e basta, ma almeno le fa. Anche per la femme fatale Asteria ci vorrebbe una voce più corposa, ma almeno Valentina Boi fraseggia, accenta e interpreta. Brava lei e brava l’altra donna, la dolce vestale convertita Rubria, che è un notevole giovane mezzosoprano, Deniz Uzun. Ottimi i due baritoni, Roberto Frontali, arista di gran classe, come Fanuèl capo dei cristiani, e Franco Vassallo, che è Simon Mago, un incrocio fra Klingsor e Wanna Marchi

 

Spettacolo di Fabio Ceresa non solo intelligente e raffinato ma anche furbo. Si vede una Roma fra Ben Hur e il fascio, quindi anche adattissima alle attuali contingenze politiche nazionali e locali, con il Colosseo sostituito dall’Eur (che in effetti è un Colosseo cubico), una grandeur più allusa che ricostruita, un Nerone molto mussoliniano sul siparietto e qualche benvenuto tocco ironico. Potrebbe sembrare che i veri eroi siano i cristiani perseguitati, ma per Boito, massone, anticlericale e bizzarro esoterista, la Chiesa era il nemico: dunque Simon Mago indossa un triregno sul suo costume da ciarlatano. Pubblico scarso, all’inizio perplesso, poi convinto e alla fine plaudente. Nerone non tornerà in repertorio, ma meriterebbe di starci.

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