Giorgio Zanchini - foto Ansa

Letture

La cultura esclusiva della rete e la critica con le stelline di gradimento

Alfonso Berardinelli

Il libro di Giorgio Zanchini, "La cultura nei media," esamina l'impatto della modernizzazione sui media di massa. Il dominio della cultura online potrebbe privilegiare il successo commerciale sulla qualità culturale

Nel suo nuovo libro, relativamente breve ma documentatissimo e direi esauriente, Giorgio Zanchini, ben noto giornalista radiofonico e televisivo, illustra una realtà problematica di primario interesse pubblico. Con La cultura nei media. Dalla carta stampata alla frammentazione digitale (Carocci, 211 pp., 17 euro) affronta criticamente il problema dalle origini agli esiti recenti senza nascondere le sue perplessità più che giustificate a proposito della “modernizzazione” di tutto il sistema dei media di massa, ormai più tecnologicamente che politicamente trasformato nei suoi rapporti con la cultura. Arriverei a dire che invece di “frammentazione” si potrebbe parlare di “polverizzazione” digitale. 

In tutto il secolo scorso, con campioni della critica al giornalismo come Karl Kraus, Orwell, i Francofortesi, Enzensberger e Pasolini, si è parlato di cultura di massa, industria culturale, manipolazione linguistica, omologazione e impoverimento della comunicazione pubblica. Quella compiuta da Zanchini è la ricognizione su un vastissimo panorama geografico e storico che non trascura le origini della questione fin dall’inizio del Novecento e si estende ai due versanti dell’Atlantico, segnalando alcune radicali differenze tra il giornalismo culturale europeo, più elitario, e quello americano, più preoccupato di essere “democraticamente” aperto a un pubblico vasto, soprattutto in vista dei vantaggi di mercato. La cultura di massa nasce infatti negli Stati Uniti, e lo si è sempre visto anche in campo più strettamente letterario nel linguaggio della narrativa, molto più attento che in Europa al “common reader”. 

Perfino lo stile della critica letteraria americana, sebbene non vi si escludano problemi intellettualmente complessi, è sempre stato più accessibile rispetto a quello della critica europea, in particolare di quella “continentale” francese e tedesca, che soprattutto nella seconda metà del Novecento, con la moda strutturalistica e dintorni, ha raggiunto livelli di tecnicismo e gergalismo insopportabilmente accademici. Per capire l’entità della differenza basterebbe accostare due giganti coetanei della critica letteraria europea e americana, Edmund Wilson (che definiva se stesso “giornalista”) e Walter Benjamin, la cui “profondità” teologico-marxista rende i suoi saggi poco accessibili anche per il docente universitario medio

Con la sua competenza ed esperienza di giornalista radiotelevisivo, e la sua cultura radicata nel Novecento, Zanchini ha ben presente che tra cultura e media non c’è affatto una naturale armonia e compatibilità, e che anzi le due realtà tendono a contrapporsi. Oggi, con i nuovi media di massa tecnologicamente velocizzati, si riproduce e si aggrava il classico conflitto fra cultura che riesce a entrare nei media e cultura che ne resta fuori. Si sta arrivando o si arriverà a non concepire più che esista una cultura fuori dal web. Anche io, perché cresciuto nel Novecento più di Zanchini, continuo a pensare che nel tramonto dei media tradizionali, analogici e cartacei, vadano perduti alcuni caratteri essenziali della cultura, anzitutto l’attenzione, la concentrazione, la riflessione. Che cosa sarebbe la cultura senza lettura di libri, memoria storica e senso del passato? Oggi può succedere di parlare di romanzo con persone che non hanno mai letto neppure una decina di romanzi dell’Ottocento e del Novecento. E’ chiaro che se questo succede si perde il significato stesso della parola romanzo. Non si tratta certo di scrivere come si scriveva uno o due secoli fa (chi ne sarebbe capace?) ma di sapere che cos’è e perché è stata inventata quella forma di narrazione di cui tuttora si sente tanto il bisogno. E anche quello che Zanchini ha da dire su cultura e media non poteva che essere trasmesso, come infatti è avvenuto, pubblicando dei libri. E’ nel rapporto dei media con i libri e la lettura il vero punto dolente. 

Quanto al più abusato argomento contro la cultura alta o libresca, le gerarchie culturali non sono antidemocratiche, perché non sono lo specchio di gerarchie sociali. Succede oggi come nel passato che il potere, il denaro e il privilegio abbiano rapporti più convenienti con il mercato di massa dei prodotti culturali che non una intellettualità critica di élite. E’ quest’ultima a non aver abbandonato la tradizione illuministica di contrasto al potere economico e politico che ha interesse a confondere una democratizzazione sostanziale della cultura con la più ampia vendibilità del prodotto e con l’incremento del consumo culturale veloce. Si tratta di un populismo non politico ma di mercato

Se la “cultura della rete” arriverà a significare che è cultura visibile e reale solo ciò che può circolare in rete allora si supererà un limite oltre il quale non c’è ritorno. Il dominio dei dati e delle informazioni circolanti senza più mediazioni interpretative e riflessive farà dimenticare il problema stesso affrontato dal libro di Zanchini. Se per esempio di un libro si comunica anzitutto, quasi fosse una definizione, il numero di copie vendute, questa informazione si trasforma in disinformazione, dato che ignora e tradisce contenuto e valore di quel libro. La lettura reale, la sua qualità, restano in ombra. Il successo commerciale prende il posto della valutazione culturale. 

Oggi per esempio la critica letteraria e culturale è in via di esclusione perfino nel giornalismo su carta non solo perché i giudizi negativi possono disturbare il mercato dei prodotti, ma soprattutto perché è diminuito il numero dei lettori di giornali in grado di leggere e capire una recensione, cioè un brano di prosa critica. Non a caso alcuni giornali, piuttosto ridicolmente, mettono in coda alle recensioni una sbrigativa formula in stelline o pallini di gradimento da uno a quattro. Il che equivale a cancellare, anzi a giudicare superfluo, l’articolo che precede.

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