"eterno caos"

L'indagine su un omicidio e l'ombra del passato. Il nuovo libro di Lodovico Festa

Marco Archetti

Le ombre della malavita, i maneggi, i sospetti e le cricche: per quattordici giorni e duecento pagine è un’occasione di ricognizione, di ricapitolazione, di ricomprensione. “Freddo al cuore” nell’italia del 1994

"Un eterno caos, ma comunque eterno”. L’ingegner Mario Cavenaghi la risolve – brillantemente – così. Ma diciamolo subito: in “Freddo al cuore” (Marsilio, pp. 224, euro 17) di Lodovico Festa non c’è solo Roma. C’è molta Milano, come già accaduto nei romanzi precedenti. E un po’ di Palermo, col suo aeroporto. E anche Napoli, di cui ci viene offerto un fulmineo scorcio, questo: “Quando in Piemonte si andava ancora in carrozza, qui c’erano già i treni”. Parole di un architetto milanese, amico del protagonista.

 

E il protagonista è appunto Mario Cavenaghi, un tempo comunista e oggi in rotta coi compagni, uno con la sua bella educazione sentimentale e politica, venuto su a Eugène Pottier e Pierre de Geyter e ormai luganese d’adozione, stanziale e definitivamente dedito alle pompe idrauliche – alle relazioni commerciali coi clienti italiani ci pensa uno zio della moglie. Un giorno Cavenaghi viene richiamato a Milano per indagare sulla morte di Paolo Ettorri, ex sindaco di Corsico, sparito e ora tragicamente affiorante nella vasca fanghi del depuratore di Peschiera Borromeo. Le accuse sembrano convergere su Alberto Rosci, l’uomo della Lega delle cooperative, un vecchio compagno di studi le cui responsabilità vengono adombrate in una lettera. In realtà sembra tutto piuttosto strano e difficilmente credibile – “forse non hai mai visto una grande vasca di depurazione con i suoi sistemi di sicurezza per evitare gli incidenti, con l’ampiezza e l’altezza dei bordi del contenitore dei fanghi per impedire infortuni”, gli dice a un certo punto Massa, ex assessore comunale degli anni Ottanta, aria da eterno fuoricorsista della Fgci, più giovane di Cavenaghi ma suo leale interlocutore. E Cavenaghi non se lo fa ripetere due volte, così risponde all’appello, prende su e parte per l’Italia, lo deve a sé stesso e al suo passato, quando era presidente della Commissione probiviri lombarda del Pci. Nel momento in cui lo conosciamo (ma sarebbe meglio dire ri-conosciamo, trattandosi della quarta sua incarnazione letteraria) è il 1994: governo Berlusconi insediato, macchina giudiziaria milanese a pieni giri e con le note fessurazioni, ed è anche appena uscito “Pulp fiction”.

  

   

“Se torni in Italia il tuo vecchio mondo ti risucchierà”. E questa è l’opinione di sua moglie, una moglie che sa e che non vorrebbe il reincontro tra il marito e “quei falliti dei tuoi amici”, una moglie pedagogica e spargi-disappunto, che cerca di tenere il suo ingegnere lontano da un passato che vorrebbe per sempre archiviato.

Ed è proprio di passato – seppur recente, seppur sempre presente – che è pieno questo romanzo. Quando si leggeva l’Unità e “di azione se n’era vissuta parecchia” e “una certa intellighenzia” incalzava, coi suoi gusti, anche la scelta dei dolci di un locale, noto ritrovo milanese in cui potevi trovare Arianna Arossa a bere con Jean-Paul Sartre, o Mario Spinella con Bertolt Brecht e Paolo Grassi. Ma non ha tempo, Cavenaghi, per il deliquio e il cupio dissolvi, ha troppo da fare: c’è una traccia da seguire, ci sono strade da intuire, cedolini degli iscritti al partito da analizzare, talpe da smascherare e verità da ristabilire, mentre Piercamillo Davigo invita a “intensificare la lotta alla corruzione” e Lamberto Dini collutta con Antonio Fazio.

Le ombre della malavita, i maneggi, i sospetti e le cricche: per quattordici giorni e duecento pagine “Freddo al cuore” è un’occasione di ricognizione, di ricapitolazione, di ricomprensione.  Di sfondo, una Milano scossa, mentre una classe fondata sul senso della dignità del lavoro è spaesata e le frittate – piaccia o no – si fanno rompendo tutte, ma proprio tutte, le uova.
 

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