Il senegalese Mohamed Mbougar Sarr al balcone del ristorante Drouant subito dopo aver vinto il premio Goncourt edizione 2021 (foto LaPresse) 

Povero romanzo. Un saggio sulla “militanza che uccide la letteratura”

Giulio Meotti

Scrittori-attivisti che belano al passo del progressismo zuccherato. Il magazine di Bari Weiss Free Press rivela che l’editoria perde a causa della “letteratura impegnata”, come la definisce Patrice Jean in “Kafka au candy shop”, appena uscito in Francia

“My Government Means to Kill Me” di Rasheed Newson, descritto dal suo editore, Flatiron, come “una storia di formazione esilarante e frenetica” su un uomo gay e di colore, è stato acquistato per 250mila dollari. Finora, secondo il tracker delle vendite BookScan, ha venduto 4.500 copie, non abbastanza per coprire neanche l’anticipo. Allo stesso modo, Flatiron ha acquistato il libro di Elliot Page – un libro di memorie che ruota attorno alla transizione di genere dell’attore – per più di tre milioni di dollari. Finora ha venduto appena 68mila copie, secondo BookScan. Dial Press, un marchio della Random House, ha acquistato “Lucky Red”, descritto come “un western femminista queer”, per più di 500mila dollari. Finora ha venduto 3.500 copie.


Il magazine di Bari Weiss Free Press rivela che l’editoria perde a causa della “letteratura impegnata”, come la definisce Patrice Jean in “Kafka au candy shop”, appena uscito in Francia.


Scrittore pubblicato da Gallimard, Jean fa di Annie Ernaux il simbolo di quello che non va nella letteratura contemporanea. “Essere di sinistra è vedere l’Altro, maliano o cinese che sia, etero o gay, cattolico, ebreo o musulmano, zingaro o senzatetto, criminale o pedofilo, come prima simili a se stessi e non diversi”, ha scritto Ernaux, Nobel per la letteratura 2022. L’Altro non è lo straniero, ma il Medesimo che deve essere protetto dal nostro razzismo e il glorioso multiculturalismo ci libererà da una società attaccata alle sue “radici”. Aggiungiamoci una trama da filmato familiare costruita su una buona scrittura e avremo Ernaux e il novanta per cento degli scrittori contemporanei.

 
“Sembra che la celebrazione di Annie Ernaux sia diventata obbligatoria in Francia” scriveva Frédéric Beigbeder. “In mezzo secolo, Ernaux ha scritto in successione di suo padre, di sua madre, del suo amante, del suo aborto, della malattia della madre, del suo lutto, del suo ipermercato. I suoi libri sono accolti all’unanimità. Il pubblico segue. Le edizioni Gallimard hanno raccolto la sua opera in un grande volume. La Pléiade arriverà presto, il Nobel è imminente, l’Accademia si spazientisce e mia figlia la sta studiando al liceo. Un consiglio a François Hollande: aprite il Panthéon ai vivi, soprattutto per Madame Ernaux. Solo Maxime Gorky godette di una gloria paragonabile nell’URSS degli anni ‘30. Ma è lecito diffidare di tale santificazione collettiva”.


“Molti di noi vogliono un mondo in cui i bisogni primari, un’alimentazione sana, la sanità, l’alloggio, l’istruzione, la cultura, siano garantiti a tutti” ha scritto Ernaux. Stupido chi pensava che tutto questo esistesse già in Europa con la sua istruzione gratuita, sanità gratuita, cultura gratuita. Ma le banalità sono merce corrente nella lagna che governa la letteratura impegnata fatta a pezzi da Jean.


“Uno spettro infesta la letteratura: la politica”, attacca Jean. Un “attivismo” che intende sintetizzare il mistero dell’esistenza con le ingiustizie e arruolare il romanzo nella lotta per il loro sradicamento, da cui nascono le piccole pubblicazioni che conosciamo troppo bene, quelle che lottano instancabilmente contro il sessismo, il razzismo, il patriarcato e tutti quanti insieme. È solo “letteratura accademica”, dice Patrice Jean, coerente con i costumi e la “buona morale dell’epoca”.


Tre pericoli minacciano oggi la letteratura secondo Jean: “L’attivismo progressista, il relativismo culturale e la preminenza delle scienze umane”. La letteratura sta così annegando inghiottita dal libro, “oggetto santificato dalle élite”, ma che in sé non ha valore. Jean critica la letteratura “progressista”. Un romanziere che castiga il cattolicesimo o il patriarcato “non rischia nulla, se non quello di essere invitato a tutti i festival, su tutti i televisori, a tutte le trasmissioni radiofoniche”. Relativismo culturale, dicevamo. Patrice Jean attacca “il grande annegamento”. “Le campagne di promozione del libro e della lettura sono nemiche della letteratura, nel senso che danno credito all’idea che leggere per il gusto di leggere sia già un bene in sé”, osa Jean. Si fa beffe della radio pubblica che si vanta del fatto che “ai nostri adolescenti piace leggere” quando i sei libri che leggono all’anno sono manga o letteratura per “sentirsi bene”. Terza minaccia che grava sulla letteratura: la concorrenza delle scienze sociali. Nell’epoca del trionfo della sociologia, la letteratura ha ancora qualcosa da dire? 

 
Gli scrittori contemporanei, scrive Jean, “belano al passo con i tempi”. La loro dichiarazione di guerra è “una parodia se si rivolge innanzitutto alla destra, alla borghesia, ai ricchi”. E garantendosi di essere “dalla parte giusta” stilano liste, cacce all’uomo, linciaggi mediatici, i librai seguono il loro passo dell’oca, i lettori si allontanano da loro e “quanto è grande Allah”. E proprio come l’Ancien Régime attirava reggimenti di scrittori approvanti, “il nuovo regime è sostenuto da migliaia di scrittori di sinistra. Tutti gli scrittori che non chinano il capo davanti a questa nuova regalità vengono scomunicati, il che, fortunatamente (per il momento), non significa che gli verrà tagliato il collo”. E per il momento, sfornano romanzi democratici, inclusivi, pedagogici, invendibili.


Adam Bellow, il figlio di Saul che ha trascorso molti anni come editor della HarperCollins, una casa editrice della Macmillan, prima di passare alla Post Hill Press, una casa editrice conservatrice, dice che il “cambiamento generazionale” è un dato di fatto. “La nuova generazione è una generazione di fanatici ideologici”.


“Credere nel peccato originale non è, come si dice, un dogma negoziabile” scrive Jean. “La letteratura che non crede a questo peccato è la letteratura per la scuola e per lo spettacolo”. Il progressismo non concepisce il mondo se non liberandosi da questa maledizione originaria, facendo della letteratura un “messaggio positivo, zuccherato”.


Lo spiega in un lungo saggio di copertina per la rivista inglese Prospect la scrittrice Lionel Shriver. La tesi è drammatica: la letteratura contemporanea sta morendo, ridotta a uno di quegli “spazi sicuri” che spuntano come funghi nei campus americani, “bolle in cui nascondersi dalle idee e dalle parole”. The end of fiction. E’ la fine del romanzo, scandisce Shriver. Gli editori ora assumono “lettori sensibili” per “pettinare i manoscritti”. “E’ impossibile valutare il grado di censura politicamente corretta in atto dietro le quinte di case editrici e agenzie letterarie” denuncia Shriver. “Gli autori sono lasciati con sospetti inquieti sul motivo per cui i loro manoscritti potrebbero non attirare, ma senza prove concrete. Altrettanto impossibile valutare l’estensione dell’autocensura collettiva degli autori. Piuttosto che entrare in punta di piedi in questo campo minato, molti scrittori devono stare al sicuro con personaggi, argomenti e trame che non li metteranno nei guai”.

   
Shriver fa un esempio personale. “Alla fine del 2016 mi sono permessa di inserire un personaggio nero in una storia breve. Jaconda, la fidanzata seducente di un giovane ladro bianco. Il mio agente mi ha avvertito delle scarse prospettive. Così mi ha invitato a rivedere la storia usando una ragazza bianca. Ho mantenuto la mia posizione. La storia è stata rifiutata. Qualsiasi scrittore di narrativa che voglia mettere sotto sforzo la pazienza del lettore con pronomi neutri al gender è benvenuto, ma temo il giorno in cui i congegni artificiali come ze e zir diventeranno ideologicamente obbligatori. Nell’attuale clima politico polarizzato, è pericoloso che gli scrittori parlino di argomenti controversi, per non alienare una parte dei lettori e per non essere banditi dalle riviste. Sostenere i diritti dei bianchi etero è meno di moda che attaccare i fumatori”.


Non si tratta solo del fatto che i classici vengono alterati. Alcuni autori, se non portano la “giusta identità”, non vengono affatto presi in considerazione. “Abbiamo deciso a tutto tondo che non avremmo preso in considerazione alcuni autori maschi bianchi, perché non volevamo essere visti come acquirenti di quella roba”, ha detto alla Free Press un redattore di un’importante casa editrice.


Un’inchiesta del Telegraph rivela che le agenzie letterarie stanno così dando la preferenza ad autori “sottorappresentati o emarginati” – persone di colore, o appartenenti alla comunità LGBTQ+ – suscitando la preoccupazione che gli autori che non soddisfano questi criteri siano “ostracizzati”. Ash Literary, un’agenzia letteraria, afferma: "Non siamo interessati a storie sugli sfollati bianchi normodotati della Seconda Guerra Mondiale, ma accoglieremmo volentieri LGBTQ+ o BIPOC (neri, indigeni e altre persone di colore)”.
La Good Literary Agency vuole “esplicitamente gli scrittori britannici provenienti da contesti sottorappresentati”. C’è chi afferma di essere “interessato a scrittori di colore, queer, trans e non binari." Su Ms Wishlist, un sito web in cui gli agenti letterari dichiarano il tipo di letteratura che cercano, uno scrive che "i gruppi BIPOC, queer e minoritari sono sempre i più benvenuti”, e un altro dice che sta "cercando specificamente [opere] scritte da autori #LGBTQIA + e/o #BIPOC”.


Toby Young, segretario della Free Speech Union, commenta: “Temo che se la conquista dell’industria editoriale continuerà senza sosta, in dieci anni non rimarrà un editore”.
L’unico uomo bianco etero ad aver vinto un Pulitzer per la narrativa in America negli ultimi cinque anni è Richard Powers, che guarda caso ha scritto un’opera ecologista. La metà dei vincitori erano donne non bianche. Le donne nere hanno vinto il 25 per cento dei premi anche se rappresentano solo il 6,8 per cento della popolazione. Nessun uomo, indipendentemente dalla razza, ha vinto né il National Book Critics Circle Award né il PEN-Faulkner Award negli ultimi cinque anni. Oggi gli uomini bianchi sono il 30 per cento della popolazione, ma negli ultimi cinque anni hanno vinto solo il 10 per cento dei premi.


Pierre Assouline, il critico letterario francese biografo di Georges Simenon, sull’Express rivela: “Prima di scegliere l’editore francese a cui assegnare i diritti del prossimo libro dello scrittore afroamericano Ta-Nehisi Coates, il suo agente ha chiesto ai suoi interlocutori di diverse case parigine quale fosse la percentuale di impiegati di colore nella loro azienda”. Dunque adesso per decidere a quale editore assegnare i diritti gli americani contano il numero di volti di colore nelle redazioni. “Lo spirito dei tempi?”, chiede ancora Assouline. “Hervé Le Tellier che riceve una telefonata sbalorditiva da un ‘lettore sensibile’ che l’editore newyorkese ha arruolato per vedere se ‘L’Anomalie’, con cui Le Tellier ha vinto l’ultimo Goncourt, contiene parole che possano ‘offendere le suscettibilità di neri, gay, donne’”.


Entro il 2025 Random House, la più grande casa editrice al mondo, ha detto di voler “diversificare” il parterre di autori ed editor. Assumerà “in considerazione di etnia, sessualità e disabilità”, guardando non più solo al talento ma anche allo status di vittima della società occidentale.


“Da due anni ho difficoltà a trovare libri interessanti”, rivela Oliver Gallmeister, l’editore che porta la letteratura americana in Francia, specializzato in romanzi dagli Stati Uniti. Gallmeister ha ricevuto una newsletter da Goodreads di proprietà di Amazon. “Parlano solo di autori neri, ispanici o asiatici, autori LGBTQ+, ecc. Negli Stati Uniti è ormai diventato il principale criterio di selezione per presentare libri a potenziali acquirenti in tutto il mondo. La cosa triste è vedere scrittori di talento cadere nella trappola delle buone intenzioni e voler iniziare a spuntare caselle di identità. Faccio fatica a trovare libri scritti in libertà: ricevo manoscritti, ma pochi mi fanno venire voglia di leggerli perché non cedo al politicamente corretto. Non ho bisogno di un libro per spiegarmi che la guerra è male, il razzismo è male, l’omofobia è male e il cancro triste: non mi interessa”.


A un famoso agente di New York di cui Gallmeister non farà il nome, che ha avuto a che fare con scrittori rinomati nel campo del thriller, è stato detto da un editore americano: “Non vogliamo uomini bianchi, trovaci donne ispaniche o nere.” Un altro editore americano, una leggenda dell’editoria, è stato criticato dal suo distributore per “non avere abbastanza minoranze in catalogo”.


Il Nobel sarà sostituito dal Premio Ikea. Lo Strega è già il premio Murgia.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.