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"Iran under 30”, un'antologia dei racconti scritti dalla generazione che sfida il regime

Marco Archetti

Il libro a cura di Giacomo Longhi è un bel tentativo di ritratto della generazione che è scesa in piazza nel 2022 dopo l’uccisione di Mahsa Amini

Fare la scuola Holden a Teheran. Però a domicilio, oppure online. In Iran è un passaggio inaggirabile: chi vuole scrivere e pubblicare “va a scuola” da uno scrittore più vecchio e più noto, che lo istruisce e lo introduce – un paternage a tutti gli effetti. I casi di maternage sono numerosissimi, quello più famoso ce l’ha già raccontato nel 2003 “Leggere Lolita a Teheran”: sette allieve e un seminario di letteratura clandestino e domestico, ogni giovedì mattina, a casa della professoressa Azar Nafisi, dopo che la Repubblica islamica le aveva reso impossibile lavorare all’ateneo Allameh Tabataba’i. Grazie ai romanzi (rigorosamente in lingua inglese), le ragazze leggono sé stesse, si confidano, raccontano e trovano rifugio in una specie di paradiso intatto nel quale, grazie alla letteratura, ci si mette in salvo da un mondo “in cui nessuno potrebbe resistere” – vien davvero da piangere a ricordare che nel solo 2022 sono stati oltre settecento i tentativi di bandire dalle scuole americane qualcosa come 1.651 romanzi: tra questi, sì, anche “Lolita” (“Tutta questa pornografia ai nostri ragazzi?”, si è chiesta una generazione di genitori che ha comprato loro lo smartphone a 11 anni).

 

Ma torniamo a noi, anzi, a loro: a chi in Iran si dedica alla letteratura e ne ha meno di trenta. Qualche mese fa, a cura di Giacomo Longhi, è uscita un’antologia intitolata “Iran under 30” (Polidoro, pp. 238, euro 16), un bel tentativo di ritratto della generazione che è scesa in piazza nel 2022 dopo l’uccisione di Mahsa Amini. Inquadrature private, spesso domestiche, condominiali o di quartiere, che rivelano abitudini da generazione sanamente globalizzata, e per fortuna, perché proprio grazie a questo sopravvive senza morire di asfissia. Che conosce i social, guarda le tv satellitari, ascolta K-pop e si nutre di tutto ciò che la polizia morale e lo stato etico vorrebbero estirpare. I racconti sono stati scelti in collaborazione con la scrittrice Mahsa Mohebali (classe 1972, famosa in Iran per un romanzo sulla ribellione giovanile intitolato “Non ti preoccupare”, uscito nel 2009 e immediatamente ritirato dalle librerie, uno dei testi più noti e letti degli ultimi anni) e Mohammad Tolouei (classe 1979, editor per anni della più importante rivista letteraria iraniana). 

 

L’impressione è che i testi si muovano tutti su un terreno di falso realismo, un realismo dirottato e deviante, ossessivo, come se l’agguato costante del paradosso facesse prendere una storta alla coerenza delle cose. Ricorrente il tema della morte, come nel bellissimo “Uccidere il padre” (quanta famiglia, in questi racconti). “Il passato è sottoterra e il futuro è sopra di noi”. E la sospensione è tutt’altro che figurata. “Mamma leggeva i fondi di tè,” scrive Saman Sadiqzadeh. “Quando incontrava le sue amiche grasse e musone afferrava il bicchierino e…”. Mamma leggerà anche le grinze delle lenzuola, quelle delle tende, e le nuvole. C’è poi l’umorismo malinconico dell’“Incorreggibile Said”, di Yasin Kiyani, in cui una covata di genietti è “sporcata” da un Calimero – grande vivacità narrativa in equilibrio tra opposti e contrappunti, tenerezza e sprezzo comico. “L’uomo pelato” di Mostafa Amiri sfiora invece il nonsense, deragliando alla Daniil Charms. Comincia con un ragazzo che prende l’autobus. “Sul sedile accanto c’era un uomo pelato. Dall’istante in cui mi è caduto l’occhio sul suo cranio lucido, mi è venuta una voglia irrefrenabile di toccarlo. Dentro di me era entrata in circolo una forza di cui non mi potevo liberare”. Sarà scompiglio, in climax, fino al pestaggio in una caffetteria – reazione finalmente compiuta. Venata di paradosso anche la piccola saga tragicomico-funebre raccontata nel “Dado” di Sahand Ebrahimi: due fratelli in giro col furgone per Teheran, col padre defunto disteso sul pianale e un dado in tasca che ne decide in parte le sorti, nella calura opprimente di una città aliena, “che sembra piombata dal nulla in mezzo a un crocevia di popoli con cui non ha niente in comune”.  Il racconto più  imprevedibile è l’ultimo, di Sepideh Khaksar, “Sonnambulismo part-time”: buio notturno, condomini acquario, oppressione irreversibile – sofisticato e gelido come non t’aspetti.

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