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come cambia la letteratura

Addio al narratore inattendibile, ora è il lettore che non collabora più

Antonio Gurrado

Il rapporto lettore-scrittore ha cessato di essere anche solo minimamente cooperativo. Ora chi legge è diventato inaffidabile, pigro. "Ogni informazione vitale deve essere enunciata in linguaggio elementare”, scrive Martin Amis

Il narratore inattendibile, su cui si è fondata la qualità di buona parte della letteratura del Novecento, non sembra più trovare spazio in quella del Duemila, ucciso dalla figura emergente del lettore inaffidabile. Martin Amis sostiene che sia questa la grande novità nella storia letteraria. Scrive in “La storia da dentro” (Einaudi) che non corteggiamo più la difficoltà perché il rapporto lettore-scrittore ha cessato di essere anche solo minimamente collaborativo. “Qualsiasi cosa tu faccia, non aspettarti che il lettore deduca qualcosa”. Addio al narratore inattendibile – a Zeno Cosini, ad Alex Portnoy – e a ogni crepa che lasci traspirare un po’ di luce fra la persona che ci racconta qualcosa dicendo “io” e tutte le domande più o meno scettiche che potremmo porci sulla sua identità e sulla sua credibilità.

 

Il lettore non collabora più. “Ogni informazione vitale deve essere enunciata in linguaggio elementare”, continua Amis: “Quando c’è da dedurre o congetturare, i lettori non hanno più gli strumenti”. Nel 2006 aveva disseminato “La casa degli incontri” di impliciti indizi sul fatto che la protagonista fosse nera: nessuno se ne accorse e l’anno dopo, nell’edizione tascabile, dovette descriverne a chiare lettere il colore della pelle. Joyce esagerava un po’ auspicando “un lettore ideale affetto da un’insonnia ideale”, ma adesso il lettore soffre di paralisi da pigrizia. Nei centri commerciali, spiega Giampaolo Simi in “Sarà assente l’autore” (Sellerio), “le scale mobili sono lì per tutti quelli che camminano benissimo. Ora, un bestseller deve arrivare anche ai consumatori. Cioè a gente che non vuol far fatica, mai”.

Si tratta di un pentastellismo editoriale ormai endemico, radicato in due principii che la società ha metabolizzato. La pretesa di trasparenza, per cui il libro bello è solo il libro vero, il libro onesto, quello che rivela confidandosi o strillando; l’ossessione per l’identità individuale, per cui uno vale uno anche fra le pagine quindi, se Proust fa un esempio ponendo che il narratore della “Recherche” si chiami Marcel come lui, allora non ci sono santi: il narratore coincide con l’autore, per quanto basterebbe controllare le date di biografia e trama per notare che non hanno in comune nemmeno l’età. E’ una tendenza che ha metastasi anche nella critica, o almeno nei critici che si nutrono di fotine postate sui social – la copertina di fianco al caffè, i piedi incrociati, il mare sullo sfondo – e cacano recensioni di sei righe per romanzi di cui non hanno minimamente studiato la coerenza dei dettagli, l’affidabilità del narratore, le rifiniture stilistiche dell’autore, concentrandosi esclusivamente sulle emozioni che la lettura ha causato nel loro sensibile cuoricino esibizionista.

Sono dunque stati inutili tutti i corsi che Nabokov ha tenuto alla Cornell (oggi nel fondamentale “Lezioni di letteratura”, Adelphi), cercando di convincere i giovani lettori che “il modo peggiore di leggere un libro è lasciarsi puerilmente coinvolgere dai personaggi del romanzo come se fossero persone reali”, mentre il modo migliore è rileggerlo inseguendo i particolari rivelatori che il narratore dissemina a beneficio del lettore attento. Ad esempio Jane Austen, che inizia “Mansfield Park” con la frase “Circa trent’anni fa”, lasciando posare una lugubre patina di polvere sulla storia romantica cui si appassiona invece il lettore emotivo. O Nabokov stesso, che fa precedere “Lolita” da una finta prefazione in cui viene incidentalmente menzionato il decesso per parto della moglie di mister Schiller: il lettore massimalista non se ne ricorda affatto quando, centinaia di pagine dopo, Lolita sposa un meccanico che si chiama Schiller, rivelandoci che non solo è già morta ma lo sapevamo dall’inizio. Nell’èra del lettore inaffidabile, abbiamo scelto di cestinare questi dettagli, queste “combinazioni di particolari”, diceva Nabokov, “che fanno scoccare la scintilla sensoriale senza la quale un libro è morto. Le idee generali non hanno nessuna importanza”.

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