La realtà in pericolo

L'ultimo libro di Peter Brooks mette in guardia sul potere della finzione narrativa

Matteo Moca

"Sedotti dalle storie" (Carocci, traduzione di Giuseppe Episcopo) è un’indagine lucida e spietata sugli "usi e abusi della narrazione", sul racconto come mezzo principale di convincimento, come "unica forma di conoscenza e di discorso che regola gli affari umani"

Nel racconto Tlön, Uqbar, Orbis, Tertius, Borges mette in scena un mondo immaginario che riflette quello reale ma ne sfuma i contorni, un luogo dove ogni cosa è confutabile e non esiste più certezza. Si tratta di una riflessione allarmata su un mondo dove la finzione si mescola con la verità, sui rischi che si generano quando ogni cosa si trasforma in una storia e la storia migliore è quella che vince, che diventa realtà. Il nuovo libro di Peter Brooks "Sedotti dalle storie" (Carocci, traduzione di Giuseppe Episcopo) è un’indagine lucida e spietata sugli "usi e abusi della narrazione", sul racconto come mezzo principale di convincimento, come “unica forma di conoscenza e di discorso che regola gli affari umani”.

Lo storytelling in ambito commerciale e politico è una prova eclatante della pervasività della narrazione in ogni settore dell’esistenza ("Non c’è nulla al mondo più forte di una buona storia. Niente può fermarla" dice Tyrion nel Trono di spade per rivendicare lo scettro) e Brooks racconta alcuni episodi salienti di questa ascesa della storia a strumento privilegiato di conoscenza del mondo (da George W. Bush che nel 2000, presentando i membri del suo gabinetto, sottolinea come ognuno di loro “avesse la sua personale storia che è davvero unica”, alla storia “dell’elezione rubata” che ha portato all’assalto del Campidoglio americano) sottolineando come “il rischio di degrado che corre la narrazione dipenda dall’uso eccessivo e promiscuo che ne viene fatto nella vita pubblica”. Ma Brooks, acuto indagatore del valore della narrazione (nel fondamentale Trame, incentrato sulla sintassi del racconto, già avvertiva di come viviamo “immersi nelle narrazioni”, “intrecciati alle storie che raccontiamo o che ci vengono raccontate, a quelle che sogniamo o immaginiamo”), passa dalle occorrenze contemporanee a una definizione generale, cercando di rintracciare nella letteratura, nel dialogo tra lo scrittore e il lettore, i meccanismi che regolano il rapporto tra storia e realtà.

Prendendo ad esempio un bestseller come La ragazza del treno di Paula Hawkins, Brooks mostra come questo romanzo sia animato da un narratore inattendibile che arriva persino a raccontare la sua morte: se non ci pare assurdo un racconto simile, si chiede Brooks, “abbiamo rinunciato a preoccuparci di come assicurarci di conoscere ciò che ci viene detto”? Il proliferare di notizie false testimonia la scarsa attenzione circa l’affidabilità delle storie e come si sia persa l’idea della storia come strumento di comunicazione, come possibilità di ascoltare gli altri. Anche per questo, suggerisce Brooks, è necessario preservare il valore delle narrazioni, riconoscere il potere e i rischi dell’autorialità (chi racconta può, in effetti, manipolare il nostro modo di osservare gli eventi), non abbandonarsi a una pericolosa narcosi, ma piuttosto interrogarsi sulla provenienza delle informazioni. Carlo Ginzburg, prendendo ad esempio come i cacciatori preistorici collegassero tracce e avvenimenti per creare una narrazione sul passaggio di una preda, ha sottolineato come la narrazione rappresenti sin dalle origini dell’umanità un atto cognitivo, perché la pratica venatoria diventa una forma di ragionamento narrativa attraverso la creazione di sequenze significative. Si tratta quindi di un patrimonio prezioso e senza tempo e se “i media strombazzano storia ovunque, come se fosse l’unica forma di comprensione rimasta nella nostra civiltà” e il romanzo si è imposto come forma dominante di racconto della modernità, Brooks ci avverte giustamente sulla necessità di tenere gli occhi aperti “su come conosciamo e diamo un senso alle storie di vita”.

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