Nei suoi taccuini il segreto di Orhan Pamuk. "Un mondo tutto mio, tra testo e disegno sono libero"

Giuseppe Fantasia

"Con i miei diari mi metto a nudo". A tu per tu con il Premio Nobel per la Letteratura a Fontanellato (Parma) per la mostra Parole e Immagini. "Mi affascina il virtuale, che in più ha il non sapere. L'IA è un tuffo in un mare di ignoto che va solo scoperto"

Fontanellato (Parma) - "L’artista e il pittore che sono in me lottano per lo stesso scopo: per una cultura onnicomprensiva capace di aprire la mente ai più e frenare la guerra", dice lo scrittore turco e premio Nobel per la Letteratura Orhan Pamuk al Foglio. "La mia anima è scossa da quello che è successo e sta accadendo, nella mia Turchia prima e poi in Israele dove lo scontro è disumano. Sono sempre più consapevole di quanto la crudeltà della Storia e del mondo siano più forti. Nel mio caso, a salvarmi è stata la letteratura e il dipingere, ma sono dei momenti a sé stanti, delle piacevoli e necessarie illusioni che mi hanno dato e mi danno la forza di andare avanti. Tutti gli intellettuali, o presunti tali, dovrebbero imparare prima di tutto ad essere moderati. Quando le bombe esplodono e il sangue scorre, hanno poco potere, ma visto che riescono a pensare meglio delle persone consumate dalla guerra e dalla propaganda, possono aiutare là dove altri non riescono: a guardare le cose in modo diverso".

Siamo a Fontanellato, nei pressi di Parma, nello scenografico Labirinto della Masone fatto costruire dall’editore e designer Franco Maria Ricci, scomparso tre anni fa, dopo una promessa fatta nel 1977 allo scrittore argentino Jorge Luis Borges, affascinato da sempre dal simbolo del labirinto anche visto come metafora della condizione umana. Lì dentro, che è poi un fuori, ci sono più di duecentomila bambù di oltre venti specie diverse, ma Pamuk – che lo guarda come tutti i presenti subendone il fascino - preferisce non addentrarsi in quel dedalo elegante e seducente in cui è facile perdersi. Restiamo così nella casa/museo dove fino al 17 marzo si può visitare Parole e Immagini, una mostra curata da Edoardo Pepino, dedicata al Premio Nobel per la Letteratura nel 2006 e alla sua inedita produzione grafica. Da più di dieci anni, infatti, Pamuk, classe 1952, scrive e disegna ogni giorno su taccuini Moleskine, quelli di piccola dimensione, e ne porta sempre uno con sé, custodito gelosamente dentro la tasca interna della sua giacca che tira fuori quando uno meno se lo aspetta. A pranzo, in spiaggia, durante un aperitivo, in macchina o durante un’intervista, come abbiamo avuto conferma tutte le volte che lo abbiamo incontrato: in Sardegna, in occasione del premio Costa Smeralda, e a Torino per il festival Torino Spiritualità. Dodici di quei taccuini sono esposti qui a Fontanellato in un percorso scenografico tra le sale espositive che completano il museo, ricco della vastissima collezione d’arte creata da Franco Maria Ricci, tra pitture, sculture, oggetti e ovviamente libri.

  

Le prime illustrazioni di Pamuk risalgono al 2009, quando iniziò la sua collaborazione con l’architetto tedesco Gregor Sunder-Plassmann per la creazione del Museo dell’Innocenza a Istanbul, dopo il successo dell’omonimo libro. È in quel posto affascinante e unico che alcuni di quei taccuini sono stati esposti per la prima volta quando aprì al pubblico, nel 2015, in occasione di una mostra curata da Carolyn Christov-Bakargev, direttore uscente del Castello di Rivoli. Le ultime illustrazioni, invece, sono di quest’anno, frutto anch’esse di una produzione grafica ininterrotta dove si alternano poesia visiva, atmosfere oniriche e note di viaggio ben filtrate dal suo mondo interiore. "Questi disegni sono espressioni grafiche della contemplazione, nate in diversi momenti della mia vita. Come la musica, anche dipingere è una delle forme creative più pure. Lo è anche scrivere, ma le parole non bastano a rendere il mondo nella sua totalità. Dipingere paesaggi non è rappresentare, ma dare emozioni". "Quando ero piccolo – continua - ho creduto che sarei stato un pittore, ma a 22 anni, il pittore in me è morto e ho cominciato così a scrivere romanzi. Nel 2008 sono entrato in un negozio per uscirne con due sacchetti pieni di matite e pennelli, iniziando a disegnare su piccoli taccuini, fra il piacere e il timore. Il mio essere pittore, a quanto pare, non era morto affatto". 

  

Lo immaginiamo al chiuso di una stanza nella sua luminosa casa con vista sul quartiere di Beşiktaş, famoso per il suo animato mercato del pesce, circondato da stradine strette con negozi di quartiere, bar informali e ristoranti semplici, lo sfarzoso Palazzo Dolmabahçe e il Museo Navale con vista sul Bosforo con le navi e i suoi colori cangianti. Lui che immagina, che scrive e che disegna un paesaggio che è sempre una separazione fra il suo occhio sul mondo e il mondo stesso che ritroviamo anche in mostra, dove l’ultima parte del percorso ci porta in una dimensione più intima, con un allestimento ispirato proprio alla sua casa turca, tra schermi che ne evocano le finestre, immagini dei taccuini alternate a foto e a note da diario, tappeti turchi "grandi e pesanti", come quelli che descrive nei suoi ricordi, protagonisti anche nel nuovo libro, Ricordi di montagne lontane, appena pubblicato da Einaudi nella traduzione Margherita Botto. C’è il suo mondo, c’è un’atmosfera onirica e sospesa con omaggi evidenti ai suoi amici Anselm Kiefer, Raymond Pettibon e Cy Twombly come agli artisti cinesi, maestri nel disegnare acqua, montagne, isola e terra, "gli elementi che preferisco". Ci sono i ricordi dei suoi soggiorni a Berlino e a Barcellona – dove nel 2009 tenne una serie di conferenze sul futuro dei romanzi – di quelli in India e negli Stai Uniti, delle passeggiate a Istanbul come dei "miei momenti speciali" in Italia. A Venezia, per esempio, quando nel 2013, ospite della Biennale, apprese la notizia della rivolta di Gezi Park, in seguito alla quale fece una dura critica alla reazione drastica e autoritaria del governo turco.

 

"Con i miei diari mi metto a nudo, svelo i miei segreti. Nella rappresentazione sociale, sono un uomo del Mediterraneo, uno scrittore che dipinge e si rifà a Dostoevskij con tutte le sue caratteristiche contraddittorie, folli e creative". La follia c’è sempre in Pamuk assieme alla sua imprevedibilità, non ne ha mai fatto mistero e ce lo ha dimostrato ogni volta, anche oggi. Del resto, è l’autore del best seller La stranezza che ho nella testa (Einaudi), e lo sia ama (quasi) sempre anche per questo. Parlando con lui, arriva presto la conferma. "Disegno e poi aggiungo il testo, mi piace confrontarmi con i taccuini e poi riprenderli, riempire le pagine bianche", ci dice. Poi si interrompe di botto e resta qualche secondo in silenzio, e aggiunge: "Devo far aprire una di quelle teche, perché mi sto ricordando che in uno di quei taccuini c’è scritta una cosa che non ricordo, ma che ho bisogno di sapere".

  

Si interrompe di nuovo e poi torna da noi, riprendendo il filo del discorso là dove l’ha lasciato. Parla diversi minuti e non ama essere interrotto. "Ho a disposizione un mondo tutto mio, ma non c’è niente di segreto. È lì che sono più libero e quella che provo è una sensazione in perfetta sintonia con la mescolanza di testo e disegno. È la mano dell’intelletto a fissare il paesaggio, la base di tutto, come qualcuno che autografa una pagina senza nemmeno rendersi conto che lo sta facendo. Così si percepisce la realtà, il senso del tempo, la ripetizione e così si rielabora il desiderio dell’artista". "Cosa mi affascina? Il virtuale, che ha qualcosa in più, il non sapere, il non conoscere e lo scoprire. Dell’Intelligenza Artificiale so davvero poco, ma non solo il solo. Il mio traduttore ha detto che per colpa della stessa perderà il suo lavoro, ma chissà. È un tuffo dentro un mare di ignoto che va solo scoperto e conosciuto. Quando ne saprò di più, forse ne scriverò. Per ora continuo questo viaggio nella libertà, tra dipinti e libri che amo non perché mi ricordano il mondo, ma perché me lo fanno dimenticare. Di cosa ho paura? Beh, la mia è quella che hanno tutti, anche chi ammette il contrario: quella di morire".