Il Pamuk interiore. "Continuerò a scrivere con gli occhi di una donna"

Alla 18esima edizione di Torino Spiritualità, lo scrittore turco Nobel per la Letteratura si racconta tra ennesimi deliri e follie

Giuseppe Fantasia

"Le notti della peste", il suo nuovo romanzo, "è la risposta all’autoritarismo di Erdogan, un testo politico che ho impiegato anni a scrivere già prima della pandemia, ispirandomi a Defoe, Manzoni e Camus". Chiacchiere con “l’artista asociale, disimpegnato e privo di autocontrollo”

Poco meno di dieci anni fa, Orhan Pamuk scrisse La stranezza che ho nella testa, un libro che parlava a suo modo di amore, vita e sogni di un giovane venditore di boza e di yogurt. Non era affatto autobiografico come Istanbul, i ricordi e la città, il saggio che gli aveva fatto vincere il Nobel per la Letteratura nel 2006 – primo turco ad aggiudicarselo – in cui alternava il racconto personale della sua infanzia e della sua adolescenza alla testimonianza storica e psicologica della decadenza di quella città e dei suoi abitanti. Pensando a quel titolo iniziale, ogni volta che lo incontriamo, ci chiediamo che sarebbe davvero bello saperne di più di quella ‘stranezza’ che oramai alberga in sé, in quel settantenne molto alto e sempre vestito di grigio con una camicia bianca. Gli organizzatori di festival, rassegne o presentazioni che lo invitano da una parte all’altra del globo, pagandolo – dettaglio non da poco - profumatamente, lo sanno e accettano qualsiasi suo comportamento o presa di posizione bizzarra pur di averlo. Lo scorso maggio, a Porto Cervo, ospite del Consorzio Costa Smeralda, non si presentò a nessuna delle tre cene ufficiali, non fece nessuna intervista one to one con gli unici due giornali nazionali presenti all’evento oltre ai locali e minacciò di non andare a Nuoro alla commemorazione di Grazia Deledda. Poi i sardi, almeno lì, ebbero la meglio, e lui si palesò nel paesino, ma solo per qualche ora.

 

A Torino, ospite della 18esima edizione di Torino Spiritualità, promossa e organizzata dal Circolo dei Lettori, neanche il tempo di ascoltare la sentita presentazione di Elena Loewenthal, che inizia subito a dettare legge. La moderatrice deve stare “attaccata” a lui con la sedia a dispetto di qualsiasi norma anti Covid e “niente firma copie al pubblico presente”, un migliaio di persone circa, molti dei quali hanno acquistato lì il suo nuovo libro, Le notti della peste (Einaudi), soprattutto per quel motivo. Poi di colpo - saranno state le parole della Loewenthal, l’ottima traduzione di Marina Astrologo, il bell’allestimento all’interno della Chiesa di San Filippo Neri, la presenza di bodyguards ovunque o tutte queste cose insieme – Pamuk si calma e torna più o meno sé stesso e alla fine capiamo che è solo “un po’infantile”, come disse a Odifreddi tempo fa. “Questo stimola l’immaginazione, ma non aiuta a diventare degli esseri sociali e nemmeno a cavarsela nella vita quotidiana”.

 

Eccolo, quindi, “l’artista asociale, disimpegnato e privo di autocontrollo”, come ama definirsi. “Non sono religioso, precisa, ma conduco a mio modo – scrivendo da 49 anni – una vita spirituale”. La letteratura? “È la mia religione: senza, lo ammetto, sarei infelice. Al di fuori di essa, la vita non ha senso, soprattutto quella di uno scrittore”. Davvero? “Nei miei testi ci sono i racconti di chi mi ha preceduto, c’è la religione, ci sono i dervisci e altre cose legate all’islam, perché è fondamentale che ci siano”. E le isole, onnipresenti nei suoi libri, anche in quest’ultimo, ambientato nel 1901, al tramonto dell'Impero Ottomano, su quella turca immaginaria di Mingher? “Sono sempre state il mio rifugio, come l’arte e i musei” (segue elogio di Pompei e del Castello di Rivoli).

Il nuovo libro? “È la risposta all’autoritarismo di Erdogan, un testo politico che ho impiegato anni a scrivere già prima della pandemia, ispirandomi alla peste trattata da Defoe, Manzoni e Camus”.

“Ogni pandemia – aggiunge – si assomiglia, perché oltre a distruzione e morte, porta con sé negazione, pettegolezzi, teorie complottistiche, rabbia e frustrazioni”. “La pelle (tema scelto dalla manifestazione torinese per questa edizione, ndr) e il corpo materiale e spirituale hanno qualcosa di fuorviante”. “L’amore sessuale è spirituale”. “Solo le persone superficiali non si fanno bastare le apparenze”, aggiunge citando Wilde. “Bisogna andare al di là del guardare. È importante chi vivrà e vedrà la Storia, ma soprattutto chi la racconterà”.

“L’Arte del romanziere – conclude - è basata sulla capacità di guardare le cose del mondo che succedono con gli occhi dell’altro. Io continuerò a scrivere, come ho fatto per questo libro, con gli occhi di una donna”. Qualcuno dovrà preoccuparsi? Niente affatto: la sua è l’ennesima presa di posizione, anche un po’ furba se vogliamo (“Le mie lettrici mi chiedevano perché non parlassi di più di loro”), di quest’eterno Peter Pan della letteratura, da oggi anche un po’ Trilly, alla ricerca continua di un’isola che non c’è.