Foto di Szilas, via Wikimedia Commons

il foglio del weekend

Disastro ellenistico a Berlino

Flaminia Bussotti

Il Museo Pergamon, chiuso per restauri fino al 2037, simboleggia come nella capitale della Germania l’efficienza tedesca è ormai solo una leggenda

Com’era la storia dell’efficienza tedesca? La Germania, superpotenza europea, quarta economia del mondo, secondo contribuente delle Nazioni Unite, simbolo di affidabilità, precisione e eccellenza industriale, perde colpi e fatica a stare all’altezza della sua immagine nel mondo. Gli esempi sono tanti e l’ultimo della serie viene, ancora una volta, dalla capitale Berlino, campione della scissione fra proiezione e realtà. Se ne parla da anni, è ufficiale da un paio di mesi, ma l’ondata di critiche sui media non si placa, ed è corale: il Museo Pergamon, principale attrazione turistica della città, chiude per un restauro generale e riaprirà soltanto nel 2037. Un po’ come se in Italia chiudessero per un lungo letargo gli Uffizi a Firenze o i Musei Vaticani a Roma. Non si poteva fare prima con tutti i mezzi meccanici e tecnologici oggi a disposizione? Non si poteva procedere per sezioni consentendo l’accesso parziale del pubblico? Non si poteva optare per una ristrutturazione meno megalomane, faraonica e dispendiosa? Domande su domande rimbalzano sui giornali, compresa quella più prosaica sulla ricaduta negativa dell’ammanco degli incassi dai biglietti sulle finanze della città-stato che già annega nei debiti (66 miliardi di euro).

Il Pergamon, come comunemente viene chiamato il Museo di Pergamo, si compone di tre sezioni – la collezione dell’antichità classica, il museo dell’arte islamica e quello dell’Asia anteriore – ed è attualmente suddiviso nell’ala nord (A) e sud (B). L’ala nord, quella che conserva il famoso Altare di Pergamo che dà il nome a tutto il museo, è già chiusa per restauri dal 2013. L’Altare, capolavoro dell’arte ellenistica dedicato al dio Zeus e costruito nel 197-159 a. C., faceva parte della residenza dei re di Pergamo (il regno fu fondato in età ellenistica agli inizi del III secolo a. C.). La città di Pergamo si trova oggi in Anatolia, nell’ovest della Turchia, e fu costruita sul modello di Atene.

I restauri dell’ala A con l’Altare di Pergamo avrebbero dovuto in realtà essere ultimati in sei anni, dunque già dal 2019. Ma non è stato così, è subentrato un ritardo. Adesso si assicura che finiranno nel 2025, ma l’apertura al pubblico di questa sezione ci sarà solo nel 2027. Per altri quattro anni, quindi, uno dei musei archeologici più importanti del mondo, paragonabile al British Museum di Londra, resterà chiuso. Il 23 ottobre prossimo, poi, chiuderà i battenti anche l’ala B – quella con le meraviglie della imponente Porta di Ishtar (porta nord di Babilonia del 600 a. C.), la Via delle processioni di Babilonia, entrambi in tessere di terracotta color blu cobalto e al 15-20 per cento originali, e la Porta del mercato di Mileto, gioiello di architettura romana del I secolo d. C. – e per la riapertura se ne riparla nel 2037, salvo ritardi. Allora, dopo un quarto di secolo e una radicale ristrutturazione, tutto il museo riaprirà finalmente al pubblico, rinnovato in tutte le sue parti, più l’aggiunta ex novo di una quarta ala, soprannominata “vetrina della città” perché rivestita di vetrate, situata davanti all’ingresso, e di un fantomatico tunnel sotterraneo per collegare tutti i musei dell’Isola dei Musei e denominato “promenade archeologica”.

Dichiarata nel 1999 patrimonio dell’umanità dall’Unesco, l’Isola dei Musei (si chiama così perché si trova effettivamente su un’isola della Sprea fra il fiume e il suo canale) comprende il Museo Pergamon, il Bode Museum, l’Altes Museum, il Neues Museum e la Alte Nationalgalerie. Nel suo insieme l’Isola dei Musei rappresenta il più grande complesso museale al mondo e da dopo l’Unificazione nel 1990 rientra in un vasto masterplan di ristrutturazione. Il primo museo a essere rinnovato è stata la Nationalgalerie nel 2001, poi il Bode nel 2006 e da ultimo nel 2019 il Neues Museum, quello con la collezione egizia e il celeberrimo busto di Nefertiti, ristrutturato dall’archistar David Chipperfield. Adesso tocca al Pergamon. Durante la chiusura alcuni reperti saranno trasferiti in veste di “ambasciatori” in altri musei della città o anche all’estero, fra cui si vocifera probabilmente il Louvre.

Prima della pandemia l’Isola dei Musei registrava un afflusso di 3,1 milioni di visitatori l’anno. Solo il Museo Pergamon contava in media più di un milione di ingressi l’anno. E anche nel 2019, l’anno prima della pandemia, sebbene il museo fosse in parte chiuso, il numero di visitatori è stato di oltre 800.000. Il prezzo standard di un biglietto oggi è di 12 euro, ma molto probabilmente aumenterà di molto nel 2037 non solo per adeguamento al costo della vita ma anche perché con un ingresso si potrà accedere a tutti e cinque i musei dell’Isola.

I ritardi nel completamento dei lavori vanno di pari passo con un’astronomica lievitazione dei costi, fenomeno che a Berlino sembra una costante. Caso clamoroso è stato il nuovo aeroporto della capitale Berlino-Brandeburgo Willy Brandt (Ber) che è stato inaugurato a ottobre del 2020 dopo 15 anni di progettazione, 14 di lavori, nove anni di ritardo sulla pianificazione, e il triplo dei costi rispetto al bilancio stanziato: 6,4 miliardi di euro per il progetto e la realizzazione di uno scalo di cui oggi è difficile trovare qualcuno che ne parli bene. Molte le disfunzioni logistiche e strutturali, come i lunghi tragitti per raggiungere le uscite, le troppe scale mobili solo per salire (come se a scendere le valigie fossero leggere), la lontananza dalla città e i cattivi collegamenti per raggiungere il centro di Berlino e la stazione centrale. Ritardi, inadempienze, maneggi, svariati manager bruciati negli anni, corruzione, denaro pubblico buttato nel più grande scandalo edilizio della Bundesrepublik, e mai un processo e una condanna dei responsabili politici. Prima ancora si era segnalata per intoppi la ristrutturazione della Staatsoper Unter den Linden: la riapertura dello storico teatro lirico di Berlino est avvenne in pompa magna per la festa nazionale dell’Unità del 3 ottobre 2017 dopo sette anni di restauri, quattro più del previsto, e costi schizzati a 400 milioni di euro dai 240 preventivati.
 
Per il Pergamon l’ultima stima ufficiale parla di 1,5 miliardi ma nessuno giura che non aumenterà ulteriormente perché in genere in corso d’opera, specie in un lasso di tempo così ampio, vanno messi in conto imprevisti strutturali, errori di calcolo e possibili pasticci nel cantiere. La curva negli anni della stima dei costi della ristrutturazione sembra quella dell’inflazione, ironizzava la Frankfurter Allgemeine Zeitung: nel 2000 si calcolavano 240 milioni, sei anni dopo 351, e altri quattro anni dopo 385. Adesso per l’ala nord si stimano 489 milioni e 722,4 per l’ala sud, più un cuscinetto (che si dà per scontato verrà inghiottito) di 295,6 milioni per eventuali rischi e aumento delle materie prime: totale, oltre 1,5 miliardi di euro.
 
Cioè, calcolando, come fa il settimanale Die Zeit in un lungo articolo, una superficie lorda di oltre 60.200 mq, un costo di 25.000 euro a mq, e di 82.796 euro a mq se calcolato in base alla superficie principale utilizzabile (quella espositiva è di solo 10.000 mq circa, il resto sono servizi, area tecnica, guardaroba, casse, shop, caffè e ristoranti). Alla fine ci saranno voluti più anni per il restauro del Pergamon, un quarto di secolo, che i 20 anni impiegati per la sua costruzione (1910-1930). Solo che allora, come rileva in un commento al vetriolo il portale T-Online, di mezzo c’erano state una guerra mondiale, una rivoluzione, l’iperinflazione e la crisi economica mondiale. Persino la costruzione 4.500 anni fa della piramide di Cheope pare abbia preso meno tempo, 20 anni. E’ questa, prosegue l’affondo, la “nuova velocità della Germania” strombazzata dal cancelliere Olaf Scholz all’apertura, dopo soli 194 giorni, del primo terminale galleggiante per Gnl a Wilhelmshaven nel dicembre 2022? Il timore è che quella fosse l’eccezione, e la regola la lentezza. Nessuno pretende, insiste il commentatore, che la Germania sia come la Cina, che ha costruito un ponte in 43 ore e un ospedale in dieci giorni, ma basterebbe prendere esempio dalla vicina e democratica Olanda che anni fa costruì un tunnel autostradale in un fine settimana. Il vero problema è che “noi siamo molto bravi nell’analisi e molto scarsi nella pratica: progettiamo troppo per le lunghe e costruiamo lentamente anche ne sappiamo di più”.
 
Il Museo Pergamon fu voluto dall’imperatore Guglielmo II e fu progettato secondo i piani dell’architetto Alfred Messel nel 1907, sviluppati poi fra il 1910 e il 1930 dal suo amico Ludwig Hoffmann. Il progetto è un’apoteosi dello stile monumentale neoclassico che incontrava all’epoca il favore sia degli ambienti liberali che conservatori durante la monarchia e poi la Repubblica di Weimar. Il progetto fu approvato dal parlamento prussiano nel 1908 con uno stanziamento di sei milioni di marchi d’oro del Reich e rappresentava per impegno finanziario il secondo progetto culturale della monarchia dopo la Biblioteca di stato nell’Unter den Linden, e verosimilmente poi il più caro della Repubblica di Weimar. Fu ultimato nel 1930 dopo un’interruzione dei lavori fra il 1915 e il 1921 a causa della Prima guerra mondiale. Problemi tecnici e ingegneristici hanno accompagnato i lavori fin dall’inizio soprattutto a causa del suolo acquitrinoso di Berlino (per consolidare le fondamenta fu costruito anche un ponte di cemento armato sopra un’altezza di 60 metri dello scavo di fondazione fangoso) e si prevede che si presenteranno anche durante i lavori dei nuovi restauri.
 
Negli anni, o meglio nei decenni, i restauri sono sempre stati rinviati e i danni riparati alla meno peggio. Umidità, infiltrazioni, guasti dovuti all’usura del tempo, dei materiali, in gran parte risalenti al periodo della monarchia (incluso l’impianto elettrico), e alle bombe della Seconda guerra mondiale che avevano colpito più volte l’edificio soprattutto nella battaglia finale di Berlino. Nel Dopoguerra il Pergamon, che come tutta l’Isola dei Musei si trovava a Berlino est, quindi nel territorio della Ddr, era stato riparato alla meno peggio, lo stretto necessario e con i pochi mezzi a disposizione del regime, prima della sua riapertura nel 1954. Il nome attuale invece risale al 1958. Per il Kaiser era il Museo nazionale con una suddivisione delle collezioni in oriente biblico, antichità greca e romana e antichità post-classica tedesca. Non vi è dubbio quindi che la patina del tempo abbia lasciato i suoi segni e che oggi il museo debba essere sottoposto a una vasta opera di ristrutturazione. I dubbi riguardano semmai i tempi di lumaca, la rigidità del progetto rispetto all’originale e anche il progetto stesso che da più parti viene criticato come superato. Il concorso fu vinto nel 2000 dall’architetto Oswald Mathias Ungers e dopo la sua morte nel 2007 sono subentrati gli studi Kleihues+Kleihues e Walter Noebel.
 
Oggi dall’esterno il maestoso edificio neoclassico a forma di ferro di cavallo, che si affaccia peraltro sul canale della Sprea davanti alla casa della ex cancelliera Angela Merkel, è un sipario strappato ricoperto di impalcature, ponteggi e intelaiature, epitome degli infiniti cantieri che nei 34 anni dalla caduta del Muro di Berlino trivellano senza sosta la città.
 
La Zeit parla senza tanti giri di parole di “disastro” e di un “concetto di museo degli anni 70”. Il progetto del restauro non è solo dispendioso ma anche obsoleto e manca, a parte un impianto fotovoltaico nella nuova ala, di un’idea di risparmio energetico in linea con la “catastrofe climatica incombente” e i piani di transizione green del governo federale. Il che vuol dire che quando riaprirà nel 2037 il Pergamon sarà dal punto di vista energetico un “fossile del passato”, scrive. Ma il “disastro” non era affatto inevitabile: i responsabili dell’istituzione pubblica, la SPK (fondazione del patrimonio culturale prussiano), i progettisti hanno anteposto i loro interessi, l’effetto spettacolare del ciclopico, megalomane restauro, a quelli del pubblico che così “per un periodo incredibilmente lungo sarà privato di tesori artistici incomparabili”. E quel che è peggio, chiosa la Zeit, è che “da parte dei responsabili non è giunta finora nessuna parola di scuse, nessuna ammissione di colpa”.

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