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Il saccheggio

Dialogo fra Salman Rushdie e Martin Amis

Gli amici e la letteratura, che sta alla vita come un tacco a spillo al piede. Chiacchierata tra i due scrittori per il magazine Interview

Nel settembre 2020, dopo l’uscita di “Inside Story” di Martin Amis, Salman Rushdie intervistò lo scrittore britannico per il magazine Interview. Pubblichiamo qui uno stralcio di quella chiacchierata.

 

Salman Rushdie: Ho avuto la sensazione che quando scrivi questi ritratti molto dettagliati ed evocativi di persone come Saul Bellow e Christopher Hitchens, tu ci stia dicendo la verità. Ci stai dicendo com’erano, cosa dicevano e cosa facevano. In che misura è così? 

Martin Amis: Ho inventato conversazioni con Christopher e, in misura minore, con Saul, e poi molto con Philip Larkin. Ma so com’erano le loro voci e quali erano i loro punti di vista. Quindi, anche se non l’hanno mai detto in mia presenza, mi sono fidato della verosimiglianza. La scrittura stilizza. Un romanzo è una stilizzazione della realtà. Penso sempre che la differenza tra un romanzo e la vita reale sia la differenza tra una scarpa da donna e un piede. La scarpa, con il tacco a spillo, non assomiglia affatto a un piede. 

SR: In tutto il libro (Inside Story, ndt), ti rivolgi direttamente al lettore. Hai un’idea precisa di chi sia il tuo lettore? Riesci a percepirlo mentre scrive?

MA: La relazione tra lo scrittore e il lettore è misteriosa e, a mio avviso, poco esplorata. Nella sua forma più semplice, è una questione di trasmissione diretta: sto raccontando una storia. Ma va molto più in profondità, fino a quando lettore e scrittore diventano identici, quasi indivisibili. Non si deve, ovviamente, imitare il lettore, ma bisogna avere molta attenzione nei suoi confronti. La cornice di questo romanzo è un dialogo diretto con il lettore. Il mio lettore ideale è molto giovane. Quanti anni ha il tuo?

SR: Sono felice di dire che ho ancora dei lettori giovani. Tu hai questa paura che il tuo lettore invecchi con te, vero?

MA: Beh, credo che si scrivano i romanzi che si vogliono leggere. 

SR: Pensi che potresti scrivere un libro più istruttivo sulla natura della scrittura?

MA: No. Ricordo, molto tempo fa, di aver avuto una conversazione con Kazuo Ishiguro, il cui punto di vista era: “Se non hai scritto qualcosa entro i 40 anni, sei fottuto”. Quanti anni aveva Flaubert quando ha scritto Madame Bovary? Quanti anni aveva Tolstoj quando ha scritto Anna Karenina? E la sua conclusione è stata che se non l’hai fatto entro i 40 anni, sei sostanzialmente fregato. E se non l’hai fatto entro i 50, sei completamente fregato.  […]

SR: Un autoritratto attraverso il ritratto di persone che sono state molto importanti per te. Christopher è stato davvero il punto di partenza?

MA: Ho sempre saputo che avrebbe dominato la narrazione, perché è quello che ha sempre fatto. Gli sei stato vicino. Si sa quanto fosse inarrestabile. 

SR: Devo dire che ho provato questa sensazione quando eravamo a Houston a casa di Michael Zilkha, produttore discografico ed editore, per quello che, guarda caso, era l’ultimo compleanno di Christopher. Quel giorno era abbastanza sveglio. Non sembrava in punto di morte. Ma ricordo di essere tornato da quel giorno pensando: “Non gli resta molto da vivere”.

MA: Beh, a un certo punto i medici dissero a Christopher che non avrebbe potuto partecipare a un evento familiare e Ian McEwan gli chiese: “Pensi che non vedrai mai più l’Inghilterra?”. Christopher ammette nel suo piccolo libro Mortality di essersi irrigidito, ma ha detto che Ian aveva ragione a chiederglielo e che era proprio questo che lo preoccupava. Ciò che rimane un mistero per me è quanto Christopher credesse di poter sopravvivere. E’ una questione complicata di morale, di non ammettere la sconfitta o di rannicchiarsi con la faccia rivolta al muro.

SR: Beh, ha continuato a lavorare fino quasi all’ultimo minuto. […] Se Christopher fosse ancora in circolazione, cosa penserebbe del mondo di oggi? Al momento ci troviamo in una doppia crisi: da un lato la pandemia, dall’altro l’urgente riesame delle relazioni razziali nel paese, e tutto questo avviene sotto l’ombrello di Trump. Entrambi abbiamo firmato la lettera di Harper’s contro la cancel culture. L’altro giorno qualcuno mi ha chiesto: “Se ci fosse stato Christopher, pensi che sarebbe stato cancellato a causa di tutti i suoi commenti oltraggiosi?”.

MA: Contrarian era quasi il secondo nome di Christopher. E ha dimostrato il suo spirito contrarian su cose importanti come la guerra in Iraq e il voto per Bush/Cheney nel 2004. Non so con certezza come avrebbe reagito a Trump nel 2016.

SR: Beh, avrebbe avuto un problema perché odiava così tanto i Clinton che per lui sostenere Hillary sarebbe stato impossibile.

MA: Ricordi con quanta indignazione ha sottolineato che Reagan diceva una bugia al giorno? Trump ne dice una ogni 10 minuti.

SR: Quando prima abbiamo parlato di Ishiguro, mi è venuto in mente che quando eravamo tutti giovani e agli inizi, c’è stato questo tentativo di raggrupparci come una sorta di generazione. 

MA: Mi sento sicuramente parte di una generazione che ha visto un cambiamento abbastanza radicale nel modo in cui i romanzi vengono scritti e nel modo in cui i romanzi vengono letti. Non ci si può più aspettare che il lettore faccia supposizioni, deduzioni, ripensamenti. Gli scrittori ora devono dichiararsi. E’ così che nascono i “movimenti”. Giovani ubriachi ambiziosi, a notte fonda, che dicono: “Non faremo più quello. Faremo invece questo”. Ma alla fine ognuno va per la sua strada.