Roberto Calasso con Oliver Sacks, via Olycom  

il libro

Foà, Bazlen e poi Calasso e gli altri: Anna Ferrando sulle tracce della prima Adelphi

Matteo Moca

Un volume per ripercorrere la storia della casa editrice e il suo legame con i contesti culturali del Novecento. La costruzione di una comunità di lettori attraverso un catalogo unico

"La cultura è catacomba, è cunicolo privato, un regno di talpe lente e meravigliose che si incontrano nella cecità. Buio e silenzio aleggiano nelle loro tane, ma esse intanto scavano”. Così Goffredo Parise descriveva nel 1964 l’attività di Adelphi dopo aver toccato con mano i primi libri pubblicati, “idee allo stato puro” come le chiamava Luciano Foà. La nascita ufficiale della casa editrice è del 1962, ma l’idea di un luogo dove prestare attenzione ad autori e opere che male si accordavano con il clima culturale (e commerciale) italiano dell’epoca ha origini più lontane, negli anni Trenta, quando i due adelphoi, i fratelli protagonisti del sodalizio originario, Luciano Foà e Bobi Bazlen, iniziarono, nonostante la censura fascista, a scandagliare i luoghi più reconditi della cultura.

È in questo periodo infatti, e grazie all’incontro con Alberto Zevi e Roberto Olivetti, che si rintracciano le inclinazioni e gli autori che comporranno il pantheon della casa editrice ed è proprio a partire da questi anni che comincia il lavoro di Anna Ferrando, Adelphi. Le origini di una casa editrice (1938-1994) (Carocci), che racconta la storia della casa editrice. Il libro non è solo la prima ricostruzione organica della storia di Adelphi, ma lega anche le sue vicende all’evoluzione dei contesti dell’Italia del Novecento, in un rimando continuo che restituisce il clima in cui si trovarono ad agire i personaggi di questa storia (esemplare il divorzio tra Luciano Foà e Giulio Einaudi, segnato da differenti prospettive ideologiche e convinzioni editoriali) e le difficoltà e i successi della casa editrice (mostrando per esempio l’importanza degli assetti economici e societari).

Il confronto serrato e continuo operato da Ferrando tra gli archivi e i carteggi privati arricchisce la storia di curiosità e particolari che non hanno mai un carattere accessorio e permettono al lettore di addentrarsi in luoghi meno conosciuti del lavoro editoriale (gli aspetti tipografici, le decisioni sull’estetica che tanta parte hanno nella riconoscibilità di Adelphi) e tra le personalità che hanno gravitato attorno alla casa editrice, come Giuseppe Pontiggia, Claudio Rugafiori, Giorgio Colli (a lui, e ai suoi allievi, si deve la prima straordinaria fatica di Adelphi, l’opera omnia di Nietzsche, “che bastava da sola a orientare tutto il resto”, secondo Bazlen) o alcune donne fondamentali nella creazione e nel consolidamento del marchio come Fleur Jaeggy o Elena Croce.

Tra questi protagonisti riveste un ruolo fondamentale Roberto Calasso, direttore editoriale e poi anche presidente di Adelphi, figura straordinaria e complessa in cui il lavoro di editore si unisce con quello di scrittore e di lettore erudito. “Fare bene quello che in precedenza era stato fatto meno bene e fare per la prima volta quello che prima era stato ignorato”, racconta Calasso dell’idea originaria di Bazlen e a questo monito risponde l’acribia con cui è costruito il catalogo e l’inseguimento dei “libri unici”, quelli in cui “subito si riconosce che all’autore è accaduto qualcosa e quel qualcosa ha finito per depositarsi in uno scritto”. La scommessa di Adelphi, raccontata da Ferrando, è quella di presentare volumi in grado di definire un profilo sempre più preciso di lettori, una comunità unita dall’interesse per libri che formano all’interno del catalogo, come ha scritto Calasso, “anelli di un’unica catena, o segmenti di un serpente di libri, o frammenti di un singolo libro formato da tutti i libri pubblicati da quell’editore”. 

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