Roberto Calasso (foto Olycom)

I godimenti di Memè Scianca. Calasso prima di Calasso

Mariarosa Mancuso

Ci fu un'altro Calasso prima di quello leggendario che “aveva letto tutto Adorno in tedesco”. È il gran lettore innamorato di romanzi e cinema di cui poi ci fece innamorare

L’altro ieri. “Memè Scianca” era freschissimo di stampa sulla scrivania. Vabbè, sul divano: la sorpresa di leggere qualcosa di autobiografico firmato Roberto Calasso richiedeva la massima comodità, al massimo una matita per sottolineare. Sorpresa, perché la leggenda narrava di un Calasso nato imparatissimo. A un’età che farebbe impallidire chiunque (non solo le studentesse della Normale di Pisa che fanno il concorso per la più selettiva università d’Italia, e poi ne lamentano l’atmosfera poco amichevole) si favoleggiava che avesse letto in tedesco tutto Adorno, anche i libri che Theodor Adorno non aveva scritto.

Prima, a Firenze, c’era stato “Cime tempestose”. A dodici anni, in un’edizione popolare con Merle Oberon e Laurence Olivier in copertina, Cathy e Heathcliff nel film di William Wyler, 1939. Probabilmente ribattezzato con il titolo italiano del film, “La voce nella tempesta”, come sarà poi nella Bur. L’insana curiosità di buttarsi sulle prime letture degli scrittori si rafforza nel caso dell’editore che ha riempito le nostre giornate con lo stesso rapimento, anche se eravamo più grandini. Dal remoto William Carlos Williams di “Nelle vene dell’America” alla più recente Shirley Jackson, che scriveva racconti dell’orrore mentre infornava biscotti al cioccolato per i pargoli (e immaginando che nella sua cucina con lo strofinaccio guardasse con invidia il tostapane).

Grazie all’Adelphi di Roberto Calasso abbiamo letto Robert Walser, con una predilezione per “L’assistente” e per “I fratelli Tanner”. Abbiamo scoperto “Flatlandia”, racconto fantastico a più dimensioni scritto nel 1884 da Edwin Abbot Abbott, con intenzioni  satiriche e pedagogiche. Racconta un mondo a due dimensioni, il narratore è un quadrato e le donne sono segmenti, da una certa prospettiva, semplici punti, quindi costrette per legge a muoversi per segnalare ai maschi – figure geometriche almeno triangolari – la loro presenza. Abbiamo letto Christina Stead, “Letty Fox”: potrebbe essere un “Sex and City” ambientato nella New York  anni ’40. Nelle letture del giovane Calasso c’erano le storie irragionevoli dei “Cavoli a merenda” di Sto, il Sergio Tofano del Signor Bonaventura (passato dal Corriere dei Piccoli al catalogo Adelphi, sprovvisto all’inizio di scrittori italiani e ancor più di scrittrici:  una delle prime fu Rosa Matteucci con “Lourdes”).

Prima di “Memè Scianca”, il nome che si era dato Calasso da piccolo (il volumetto esce in contemporanea con “Bobi” – se bisogna aggiungere il cognome, non siete tra i lettori che correranno a comprarlo) ce l’eravamo spassata con “Allucinazioni americane”. Capitolo “Il guanto di Gilda” in particolare, dove si celebra il cinema americano fatto di Generi e Convenzioni, divinità scomparse dal teatro e dalla letteratura per migrare a Hollywood. Sunset Boulevard e l’Olimpo hanno qualcosa in comune, nel guanto che Rita Hayworth in “Gilda” lentamente si sfila c’è una spolverata di mito. 

Perfino Franz Kafka il tormentato (eppure i primi lettori ridevano alle sue storie) ha una scintilla di cinema. Di musical, per la precisione. Citiamo: “Una delle più alte, irripetibili e incantevoli forme inventate dal Novecento”. Non un musical qualunque, un musical di Busby Berkeley, ben descritto nel “Disperso” (titolo originario dell’incompiuto romanzo “America”). L’emigrato Karl Rossmann vede “centinaia di donne vestite da angelo, ognuna su un piedistallo, che suonano centinaia di trombe scintillanti d’oro”. Certo non è una fiera di paese. Suggerisce Calasso, editore innamorato dei libri e del cinema: i commentatori hanno martoriato queste righe in vari modi, bastava prenderle alla lettera.

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