Giovanni Pellegrino (destra) con  Giorgio Napolitano (centro) e Ferdinando Masone (sinistra)

Giovanni Pellegrino, l'eretico di sinistra

Ermes Antonucci

L’ex senatore Pci-Pds racconta nel suo libro di memorie i suoi “Dieci anni di solitudine” in Parlamento. “Rivendico di essermi opposto al giustizialismo che prevaleva nel mio partito durante Mani pulite”

"Il potere politico andava circondato da una corona di poteri neutrali di controllo, cui era però necessario attribuire un carattere pluralista ed equiordinato, escludendo una supremazia del giudice ordinario penale, per evitare che un governo dei giudici determinasse una evoluzione sostanzialmente tecnocratica dell’ordinamento”. E’ in questo pensiero, maturato durante gli anni dello tsunami di Mani pulite, mentre da più parti si inneggiava alla rivoluzione giudiziaria, che si può rintracciare uno dei principali tratti eretici che hanno caratterizzato il percorso politico di Giovanni Pellegrino, da lui stesso raccontato nel libro “Dieci anni di solitudine. Memorie di un eretico di sinistra” (edito da Rubbettino). In Senato dal 1987 al 2001, prima per il Pci e poi per il Pds, Pellegrino ha ricoperto gli importanti ruoli di presidente della Giunta per le immunità (proprio nel periodo in cui il pool di Mani pulite inondava il Parlamento di richieste di autorizzazione a procedere) e della Commissione bicamerale di inchiesta sul terrorismo e le stragi.

 

Fu proprio attorno alla vicenda di Tangentopoli che cominciarono a emergere le prime frizioni tra Pellegrino e il gruppo dirigente del partito. “Confesso di non essere mai stato un garantista, ma rivendico di essermi opposto al giustizialismo che prevaleva nel mio partito e di cui non riuscivo a comprendere le ragioni”, scrive Pellegrino: “Trovavo improprio l’aprioristico entusiasmo che il gruppo dirigente manifestava per ogni iniziativa assunta dalle procure, che non poteva ovviamente dirsi giustificato dal fatto che gli indagati appartenessero a partiti diversi dal nostro”. L’ex senatore non risparmia neanche critiche al pool milanese, di cui comunque aveva stima: ricorda la prassi dei “mandati di cattura a grappolo”, così come l’espediente dell’esistenza di un unico fascicolo virtuale, che consentiva ai pm di sottoporre le loro richieste di arresto sempre allo stesso giudice (il gip Italo Ghitti), senza dimenticare “la prassi della notifica a mezzo stampa”.

 

Pellegrino racconta che quando il suo pensiero “eretico” si concretizzò nell’attività parlamentare, ad esempio con l’astensione dal voto sull’autorizzazione a procedere contro il tesoriere della Dc, Severino Citaristi, venne convocato a Botteghe Oscure per essere sottoposto a una sorta di “processo”. L’accusa era quella di avere dissentito dal rigore di Mani pulite. Quando però l’inchiesta cominciò a toccare anche esponenti di rilievo del Pds, alcuni dirigenti del partito, come Massimo D’Alema, cambiarono idea, dicendo a Pellegrino che sugli eccessi dei pm aveva ragione.

 

Nel libro Pellegrino non si limita a rievocare l’attività svolta alla Giunta per le immunità del Senato (tra cui anche l’autorizzazione a procedere nei confronti di Andreotti per fatti di mafia). Ampio spazio viene dedicato agli anni della presidenza della Commissione di inchiesta sul terrorismo e le stragi (1994-2001), che ebbe il compito di approfondire le vicende del terrorismo e delle eversioni, a partire dalla strage di piazza Fontana a Milano del 12 dicembre 1969, per passare all’omicidio di Aldo Moro e alla strage di Bologna del 2 agosto 1980.

 

Pellegrino racconta poi l’esperienza della Bicamerale per le riforme costituzionali, presieduta da D’Alema, in cui si occupò della parte relativa alla riforma del sistema delle garanzie nel processo. Da “eretico di sinistra”, l’ex senatore ricorda come Boato fosse “nettamente favorevole alla separazione delle carriere di giudici e pubblici ministeri che a me sembrava, come ancora sembra, conseguenza naturale dell’introduzione del rito accusatorio nel processo penale”. Le feroci reazioni della magistratura al testo approvato dalla Bicamerale  fecero saltare tutto, portando al trionfo del “conservatorismo costituzionale” che da decenni fa vivere i partiti in una crisi permanente.

 

L’ultima parte del libro è dedicata ai cinque anni trascorsi da Pellegrino alla presidenza della provincia di Lecce, non più in solitudine, ma circondato dal consenso degli ex comunisti.

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