Dettaglio di “Passeggiata in riva al mare” di Joaquín Sorolla, 1909 (Wikimedia Commons)

il foglio del weekend

Le ragazze "modernas" di Madrid

Maria Pia Farinella

La mostra sulla Residencia de Señoritas, istituto rivoluzionario che prima della dittatura formò grandi menti del ’900

Una stanza tutta per loro. Anzi, una residenza tutta per loro. La Residencia de Señoritas di Calle Fortuny a Madrid, inaugurata nel 1915 sotto l’egida di istituzioni pubbliche e private come una filiazione della Institución Libre de Enseñanza. Sì, proprio quel “rivoluzionario” Istituto di Libero Insegnamento che tanto peso ebbe sulla cultura e la storia spagnola a cavallo tra Ottocento e Novecento. Da quel filone liberale trasse ispirazione la Residencia de Señoritas. Che fu in Spagna il primo centro designato a promuovere l’istruzione universitaria o, comunque, di grado superiore per le donne. Lì tra il 1915 e lo scoppio della Guerra civile nel ’36 vissero e si formarono anche trecento studentesse l’anno. Le chiamavano proprio “las que estudian”, “quelle che studiano”. Così il 7 aprile 1929 il quotidiano Abc titolava le due pagine dedicate alla Residencia con un’intervista alla fondatrice, María de Maeztu. E già il titolo documenta lo stupore davanti a donne così diverse, così insolite. Come chiamare quelle ragazze “que querían saber”? Che avevano voglia di sapere. Di cimentarsi con le arti e soprattutto con la scienza. Di tentare la strada delle professioni, l’indipendenza economica.

 

Erano ragazze del secolo scorso. Diedero un taglio all’immaginario femenino di un paese in prevalenza rurale, di latifondo e campanili, come era la Spagna dei primi del Novecento, per farsi avanguardia. Divennero pioniere di un progetto educativo unico in Europa, tanto moderno per l’epoca che le ragazze e le loro maestre vennero spesso accusate di essere “sovversive” o “anarchiche” o almeno fuori contesto, fuori dalla realtà effettuale del paese. Talvolta le chiamavano, senza sarcasmo, “las modernas de provincia”, con riferimento al retroterra delle ragazze, in gran parte figlie della borghesia della vasta provincia spagnola.

 

E adesso, segno dei tempi, a loro rende omaggio una mostra, inaugurata dal re Felipe VI e aperta fino al primo luglio. E insieme un saggio: Ellas. Las estudiantes de la Residencia de Señoritas, edizioni Cátedra, scritto da Encarnación Lemus López, docente di Storia contemporanea presso l’Università di Huelva. Non è il primo volume dedicato alle ragazze di Madrid e probabilmente neppure l’ultimo. La bibliografia, già imponente, si è moltiplicata negli ultimi decenni. Dopo la morte del Caudillo nel 1975 e la rapida transizione dalla dittatura alla democrazia costituzionale, è stato tutto un fiorire in Spagna di iniziative, pronunciamenti parlamentari, disposizioni governative, leggi dello Stato per il recupero della memoria del paese.  In particolare quella legata alla tragica frattura della Guerra civile 1936-1939. Non a caso Fernando Martínez, segretario di Stato del Ministerio de Memoria Democrática è intervenuto alla presentazione del saggio di Lemus López in calle Fortuny 53. Proprio in quei luoghi dove vissero cent’anni fa “quelle che studiavano” a Madrid.  Oggi la palazzina liberty con le ampie vetrate sul giardino e gli altri edifici firmati da architetti famosi come Carlos Arniches sono sede della Fondazione José Ortega y Gasset, al nome del quale è stato aggiunto nel 2010 quello di Gregorio Marañon. Il filosofo e il medico scrittore, due tra gli intellettuali più brillanti del XX secolo in Occidente.

 

Luoghi simbolo di storia e cultura, questi padiglioni a due passi dalla Castellana. Non solo in Spagna. Prima delle señoritas quest’oasi verde di prati e cedri, di fiori e fontane al centro di Madrid, ospitò la più famosa Residencia de Estudiantes. Maschile plurale. Perché fu archetipo del dialogo tra arte e scienza tanto in voga nel periodo tra le due guerre. E perché fu modello di convivenza e tolleranza. Premessa o risultato di un’incredibile concentrazione di talenti maschili che si incontrarono nelle stesse stanze e negli stessi anni, sia come residenti, sia come invitati, sia per dare conferenze, sia per pubblicare libri, come i filosofi Ortega Y Gasset e Unamuno, il biochimico Saverio Ochoa, i poeti Antonio Machado e Juan Ramón Jiménez. 

 

I poeti soprattutto. Pedro Salinas, Jorge Guillén, Gerardo Diego, Luis Cernuda, Rafael Alberti. Un’intera generazione, quella del ‘27, quella che scriveva “la più bella poesia d’Europa”, per usare la celeberrima definizione di Federico García Lorca in una lettera a Miguel Hernández, trovò dimora nella Residencia de Estudiantes. E in quella fucina fecero amicizia il cineasta Luis Buñuel, il pittore Salvador Dalí e proprio Lorca, l’autore andaluso più amato di tutti i tempi. Tale era la fama del luogo che lì si recarono Albert Einstein, Marie Curie, Igor Stravinsky, Max Jacob, Paul Valéry, Le Corbusier, John Keynes. I premi Nobel non si contano alla Residencia de Estudiantes, che tuttora esiste dall’altro lato del paseo de la Castellana e ospita scrittori come Mario Vargas Llosa. Ecco, la Residencia de Señoritas fu la versione femminile del prototipo maschile. Nacque da una costola. Anzi, da un trasloco. Il trasloco nel 1915 nella sede attuale in calle del Pinar dell’ambita Residencia de Estudiantes, cresciuta per numero di iscritti in proporzione al prestigio acquisito.

 

Intanto nel 1910 in Spagna era stato liberalizzato l’accesso all’istruzione superiore per le donne. Certo, qualcuna aveva frequentato l’università già prima di quella data, ma erano fenomeni episodici. Nell’anno accademico 1909/1910 solo ventuno spagnole erano iscritte all’università. Ma era il tempo della società “nuova” ipotizzata dalla Institución Libre de Enseñanza. Che comprendeva la partecipazione delle donne alla vita culturale, politica ed economica del paese. E una formazione integrale, sport incluso. Non a caso il titolo della mostra è Motor de igualdad (Motore d’uguaglianza) e coincide con il programma, un po’ visionario, un po’ velleitario, che perseguiva María de Maeztu, la pedagoga direttrice della Residencia de Señoritas, pugno di ferro in duttili guanti di donna, tenace attenzione al dettaglio nella formazione delle “sue” ragazze.

 

Memoria in rassegna, dunque. E un’enorme quantità di documenti. Che compongono un racconto corale, minuto, di vita quotidiana, di istruzione vera e propria e di educazione sentimentale. Di giornate affollate di impegni, mostre, conferenze, concerti, teatro, feste. Senza contare le gite culturali, perfino a Parigi e in Marocco, testimoniate da tanti passaporti collettivi con foto di giovani donne, tutte con lo stesso taglio di capelli, appena sotto le orecchie. C’è poi il capitolo non secondario dedicato all’attività fisica, mens sana in corpore sano. Le ragazze della Residencia praticavano tennis e hockey nei più attrezzati e spaziosi collegi maschili e imparavano perfino a sciare nella Sierra vicino a Madrid. Lo sport era la principale occasione per incontrarsi con i coetanei. Per le feste da ballo ci voleva l’autorizzazione scritta dei genitori, nei fatti dei padri, e dell’onnipresente direttrice.

 

E’ uno spaccato della società spagnola del tempo la corrispondenza tra i genitori delle ragazze e María de Maeztu e tra padri e figlie. Lemus López che ha passato in rassegna tutto l’archivio sottolinea che “le madri erano più difficili da convincere”. Per loro tutto era un problema e “poteva diventare un pericolo”. In gioco c’era soprattutto l’onore. Delle ragazze e della famiglia. Sono i padri a dominare la scena dei carteggi. Sono loro a scommettere sul futuro delle figlie, sulla loro autonomia e capacità di scelta. “Ci fu patto tra padri e figlie. Una promessa reciproca. Le ragazze dovevano garantire prudenza e disciplina. I padri fiducia e rispetto”, scrive Lemus López.

 

Su tutto vigilava la direttrice con poche, fidate collaboratrici come Rafaela Ortega y Gasset, sorella del filosofo. María de Maeztu curava di persona l’ingresso nella residenza di ciascuna, dopo un colloquio in cui metteva in chiaro che “ogni diritto include un dovere e che a un sapere maggiore corrisponde una maggiore responsabilità sociale”. I Maeztu erano una famiglia borghese, con borghesi, internazionali frequentazioni. María era sorella di Gustavo, pittore e scrittore giramondo, e del più famoso Ramiro, scrittore,

 

ambasciatore, deputato della Seconda repubblica spagnola, arrestato allo scoppio della Guerra civile nel luglio del ‘36 e poi fucilato senza processo proprio dalla forze repubblicane. Era una donna capace di coniugare la scelta delle tappezzerie o dei menù quotidiani, quattro pasti “abbondanti e diversificati” al giorno, con la volontà di attrezzare la Residencia con laboratori di chimica e farmacia adeguati a incentivare il più possibile gli studi scientifici o di costituire una biblioteca che, passo dopo passo, arrivò a essere considerata tra le più fornite di Madrid. Un salone con migliaia di volumi che comprendeva anche giornali e riviste nazionali e internazionali perché le ragazze potessero seguire l’attualità e formarsi un’opinione.

 

Per ferrea disciplina prescritta da María de Maeztu, la lettura non era facoltativa nella casa, come non era facoltativo partecipare al rito del tè nel pomeriggio. Ogni giorno, proprio a las cinco de la tarde, si doveva sorseggiare tè insieme con la direttrice, sbocconcellando panini al burro. Proprio il tè, infuso non pervenuto nella Spagna del tempo. Soprattutto per chi del mondo conosceva solo la provincia. Non un banale caffè e neppure una tazza di chocolate negro, bevanda nazionale dai tempi della scoperta delle Americhe. Le ragazze del secolo scorso che arrivavano a Madrid per frequentare la Residencia spesso non erano mai uscite da casa loro, dalle altre città della Spagna ma anche da paeselli sperduti come Bujalance, vicino a Cordova, o Almendralejo in Estremadura. Erano province remote. Di “lune dai cento volti uguali”, per dirla con Lorca. Lune “verdi” presaghe di destini già compiuti, di sentieri già tracciati, sebbene mai esplorati prima da ciascuna. Figlie, mogli, madri, se andava bene.

 

La mostra Motor de igualdad scorre come un romanzo epistolare. Centinaia di volti, di figure vestite a la garçonne senza essere suffragette, prendono forma da foto e documenti inediti. Sembra di sentire le voci e le risa. Magari nascoste in minuziosi elenchi di permessi per partecipare a eventi musicali e balli, talvolta con giovani uomini citati per nome e doppio cognome, come si usa in Spagna. E poi, cartoncini di invito a incontri e conferenze prestigiose: Marie Curie, la prima donna insignita di ben due Nobel, per la fisica nel 1903 e per la chimica nel 1911, l’italiana Maria Montessori, medico e scienziata ancora oggi nota per il metodo educativo diffuso in tutto il mondo, il capo di stato Niceto Alcalá-Zamora, presidente della Seconda repubblica spagnola, di cui rimane una foto mentre beve una tazza di tè nella Residencia con l’aria di chi non lo gusta. E ancora le élite intellettuali internazionali come la cilena Gabriela Mistral, futuro Nobel per la Letteratura nel 1945 o l’argentina Victoria Ocampo.  E il mitico García Lorca che il 16 marzo del 1932 recitò nei saloni della casa in anteprima assoluta Poeta en Nueva York, forse la sua opera più complessa, una raccolta di liriche che sarebbe stata pubblicata solo nel 1940, quattro anni dopo il suo assassinio vicino a Granada da parte delle forze nazionaliste che si erano sollevate contro la Repubblica.

 

Il golpe segnò la fine della Residencia de Señoritas. Le vacanze di quell’estate feroce del ’36 si prolungarono fino a quando le poche ragazze rimaste furono evacuate a Valencia. Gli eleganti edifici di calle Fortuny e dintorni adibiti a ospedale, infermeria, orfanotrofio. María de Maeztu costretta a lasciare l’incarico e in pericolo di vita come il fratello Ramiro. Morì in esilio in Argentina nel 1948. Ma molte delle ragazze che si erano formate accanto a lei in ventidue anni di attività erano entrate già a far parte della élite intellettuale del paese. Protagoniste della cosiddetta Edad de Plata, il periodo chiamato “d’argento” in relazione al più importante Siglo de Oro. Ma pur sempre assai significativo per la quantità e qualità delle opere letterarie prodotte in Spagna agli inizi del XX secolo. Le ragazze di Madrid si occuparono molto di pedagogia. Ma anche di diritto e politica come Victoria Kent, deputata della Seconda repubblica e perfino Direttore generale delle prigioni. La prima donna in Spagna ad aprire uno studio legale e la prima al mondo a esercitare il mestiere di avvocato presso un tribunale militare. L’avvento del franchismo costrinse lei, e quelle che come lei si erano esposte, a scegliere la via dell’esilio.

 

Rimasero per lo più in Spagna, invece, le studentesse che avevano scelto la formazione scientifica. Quasi sempre rifugiandosi in quell’ exilio interior che fu una condizione umana e professionale assai diffusa durante il franchismo. Furono ginecologhe come María García Escalera, la prima a dirigere una clinica ostetrica in Andalusia. O farmaciste come Consuelo Gómez Pérez. Dalle testimonianze raccolte da Encarnita Lemus López di certo condussero una vita riservata. Perché, come sottolinea nel saggio Ellas. Las estudiantes de la Residencia de Señoritas, “era arrivato il tempo di pagare la trasgressione di essere state modernas”.

 

La Residencia de Señoritas riaprì i battenti nel 1940, sotto l’egida della sezione femminile della Falange con il nome di Teresa de Cepeda, la santa di Avila chiamata col nome secolare, e un organigramma che prevedeva un cappellano. Poi passò all’Università di Madrid e assunse il nome di Colegio mayor femenino Santa Teresa de Jesús. E così lo abbiamo conosciuto noi, ragazze degli anni Settanta, poco prima che fosse destinato alla Fondazione Ortega y Gasset. Era allora un luogo struggente di rose e ricordi, che non erano neppure nostri. Quando il sole inondava di pulviscolo le antiche stanze, avevamo coscienza di vivere un privilegio. Frammenti di memoria collettiva. 

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