Nuova traduzione per la “Certosa di Parma”, classico mainstream dell'Ottocento

Giulio Silvano

Torna in libreria con una nuova edizione il romanzo di Stedhal, al cui centro ci sono i grandi interessi dello scrittore francese: l'amore e la politica

Il lettore colto, o che si percepisce tale, prova sempre una certa vergogna ad ammettere di non aver mai letto Madame Bovary, l’Ulisse di Joyce, Il Gattopardo o altri citatissimi capolavori della letteratura. E’ per questo che i classici non si leggono, si rileggono sempre – o almeno è quello che si dice agli altri. E la nuova traduzione di Margherita Botto, appena uscita per Einaudi, della Certosa di Parma è l’occasione per riprendere in mano uno dei classici più mainstream dell’Ottocento, con la scusa di “rileggerlo” in una nuova versione italiana. Farlo uscire in un’edizione cartonata, invece del solito tascabile, aiuta il primo lettore a pensare di leggere una novità e non un paperback per liceali. Il libro di Stendhal, scritto nel  1838 – si dice in soli cinquantadue giorni, dove l’autore si barricò nell’appartamento parigino di rue de Caumartin – è diventato il preferito di Walter Benjamin. Fu Balzac, recensendolo, a far scoprire lo Stendhal scrittore. Uno scrittore spesso impreciso, che non ebbe desiderio di rilavorare sulla stesura del libro per correggerlo. In questo è l’anti Flaubert

 

Meno preciso di Balzac, meno avventuroso di Dumas, meno poetico di Flaubert, meno sanguigno di Maupassant, meno monumentale di Hugo, Stendhal ha un pregio, il saper vedere la Francia da fuori. Nella sua vita, passata in parte nei regni e nei ducati italiani, ha cercato di capire i suoi connazionali attraverso gli italiani, e ha raccontato gli italiani nei continui paragoni con i francesi. I due interessi di Stendhal, che diventano centrali nel romanzo, sono l’amore (su cui nel ’22 aveva scritto un trattato, De l’amour) e la politica – aveva lavorato al consiglio di stato, al ministero della guerra, come militare napoleonico e come console a Civitavecchia – e questi due temi sono il motore della sua narrativa. Intrighi di palazzo e culto dell’energia romantica, quella byroniana ma inzuppata negli umori e nelle arti italiane, muovono il protagonista della Chartreuse, Fabrizio del Dongo. Ingenuo, belloccio, sprovveduto, è vittima della storia politica e dell’amore – giovanissimo, è disperato perché non riesce a innamorarsi, ma le donne, intorno a lui, continuano ad aiutarlo, un po’ per spirito da crocerossine un po’ per speranza di trovare ricambiato il loro affetto. I personaggi scivolano in lunghi pensieri che oggi chiameremo overthinking, in riflessioni che tolgono il sonno a marchesi e contesse e briganti, portati a perdere fortune ma mai a inzaccherarsi l’onore. 

 

Napoleone e le idee repubblicane all’inizio dell’Ottocento creano una frattura in Europa, disgregando famiglie. Nel periodo del ringraziamento, o sotto Natale, si scherza molto nei meme oggi sulle famiglie costrette a condividere un lungo pasto, pieno d’alcol, dove cercano di non parlare di politica. Lo zio trumpiano e il cugino iper woke si vedono una volta all’anno e potrebbero rovinare il clima della festa tra teorie cospirazioniste e teorie gender. O da noi, il 25 dicembre, la nonna leghista, il cugino grillino o la sorella vegetariana che ha votato Sinistra italiana, si incontrano intorno ad arrosti e panettoni e si mordono la lingua per non cadere in qualche conversazione su condoni, pronomi o Meloni. Nulla a che vedere con l’Europa post napoleonica, dove le famiglie, anche non francesi, si fratturavano. Per le simpatie liberali un figlio veniva diseredato. I partiti monarchici e repubblicani creavano guerre tra consanguinei, vecchi principi restavano con le unghie appiccicate al trono mentre la nuova borghesia cercava di farsi spazio tra gli aristocratici resistenti al vento di novità.

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