LaPresse

1951-2022

Addio a Javier Marías, che rendeva cristallini i pensieri più sordidi

Alberto Cantoni

L’autore madrileno è scomparso all’età di 70 anni per le conseguenze di una polmonite. Tra i maggiori scrittori contemporanei, aveva raggiunto il successo internazionale con Un cuore così bianco, nel 1992. Il premier Pedro Sánchez: “Giorno triste per la letteratura spagnola"

“L’abitudine può sostituire l’amore, non l’innamoramento”. Scriveva così Javier Marías, tra i maggiori scrittori spagnoli contemporanei, scomparso domenica 11 settembre per le conseguenze di una polmonite. La conferma, accompagnata dal cordoglio, è arrivata anche dal ministro della Cultura spagnolo Miquel Iceta: “Riposi in pace. La sua opera lo manterrà vivo nel nostro ricordo”.

Ritenuto un gigante della letteratura internazionale, era nato a Madrid il 20 settembre del 1951. Dopo una laurea in filosofia, aveva raggiunto il successo nel 1992 con Un cuore così bianco, a cui avevano fatto seguito opere come Domani nella battaglia pensa a me e Quando fui mortale, fino ai più recenti Berta Isla e Tomás Nevinson. Libri nei quali “l’innamoramento” era tutto per la letteratura e si rinnovava in ogni trama.

Nei suoi romanzi, la morte era un tema ricorrente: un motore, un’esca per attirare il lettore nell’ingranaggio narrativo che Marías riusciva a congegnare sempre in maniera efficace. La notizia della sua scomparsa è stata data in anteprima dal quotidiano Abc. Tra gli omaggi all’autore anche quello del premier Pedro Sánchez, che su Twitter ha scritto “È un giorno triste per la letteratura spagnola”

 

 

Figlio del filosofo Julián Marías e dell'insegnante Dolores Franco, nipote del regista Jesús Franco, Javier Marias era cresciuto in una famiglia di intellettuali anti-franchisti. Ha trascorso lunghi periodi dell'infanzia negli Stati Uniti, dove il padre insegnava. Fin dall'esordio nel 1971 con I territori del lupo – romanzo in cui 85 pellicole cinematografiche nordamericane visionate a Parigi diventano un 'opera letteraria – ha messo in chiaro la sua volontà di sperimentare e di rompere con la tradizione letteraria spagnola.

Come già scritto sul Foglio, se esiste una gratitudine che si può provare per uno scrittore, inevitabile provarla per Javier Marías. Perché i due capolavori Berta Isla e Tomás Nevinson puntano fortemente ad appartenere al grande ordito della letteratura universale. E muovono dichiaratamente da altri testi, citandoli, rimandando alle loro pagine, ai loro protagonisti, nutrendosi dei dilemmi da cui sono attraversati.

In Italia, tutti i suoi libri sono stati pubblicati da Einaudi. Nell'ultimo (uscito nel 2021), il protagonista Tomás Nevison, scomparso da dodici anni e dato per morto anche dalla moglie, torna nei servizi segreti e l'ordine che deve eseguire è dei più atroci: individuare e uccidere una donna che nel 1987 aveva preso parte ad alcuni attentati dell'Ira e dell'Eta. Tanti i riferimenti e le citazioni letterarie - da Shakespeare a Baudelaire, da William Blake a Dante - come accade spesso nei viaggi che si compiono con le opere di Marías. Il paroliere iberico era bravo proprio in questo: nel prendere i cliché e nell’andare a fondo, con calma, negli animi dei personaggi, rendendo cristallini i loro pensieri più fangosi, più sordidi, tanto da farci dimenticare dei congegni da spy story, da film d’intrattenimento. Le caratterizzazioni psicologiche erano schegge di vetro guardate al microscopio.

 

"Quest’epoca sarà ricordata per la sua estrema ridicolaggine". Così aveva scritto in un articolo per El País facendo riferimento alla lettura della poesia dell'autrice afroamericana Amanda Gorman durante la cerimonia di insediamento del presidente statunitense Joe Biden, a gennaio dell’anno scorso. Secondo Marías, la ragazza aveva avuto il merito di diventare famosa “non tanto per la qualità della sua poesia (che ora conta poco), quanto per essere una donna, giovane e nera”.