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“Che accadrebbe se un nero o una donna non potessero tradurre Proust?”

Giulio Meotti

Lo scrittore spagnolo Javier Marías sul caso Amanda Gorman e il “nostro tempo ridicolo e cretino”

“Quest’epoca sarà ricordata per la sua estrema ridicolaggine”. Scrive così sul País il maggiore scrittore spagnolo vivente, Javier Marías. “Francisco Franco, forse i giovani non sanno, censurava i baci nei film, cambiava i dialoghi e copriva le scollature delle attrici. Ovviamente non sono così sicuro che la censura sia considerata oggi ridicola e grottesca ed è probabile che alcune femministe della quarta ondata la trovino di grande successo”. Marías parla di Amanda Gorman, “diventata famosa non tanto per la qualità della sua poesia (che ora conta poco), quanto per essere una donna, giovane e nera”. Le sue parole dovevano essere tradotte in olandese da Marieke Lucas Rijneveld. “Secondo la stampa, ‘il profilo di Rijneveld, una giovane donna non binaria, era adatto’. Confesso di ignorare cosa significhi ‘non binario’”. Rijneveld, come altri dopo di lei, ha perso il lavoro perché ora Gorman deve essere tradotta da una giovane donna nera. “Secondo questo ragionamento non avrei mai dovuto tradurre Wystan Auden o Frank O’Hara, essendo loro omosessuali e io eterosessuale”, dice Marías. “E davvero non so come ho osato con Sterne, Stevenson, Faulkner, Hardy, Nabokov, Yeats, tutti morti e io vivo. E nessun nero o eterosessuale o donna dovrebbe tradurre Proust”. Conclude Marías: “La faccenda è così ridicola che non so nemmeno perché me ne occupo. Ma il fatto è che riflette troppo bene uno dei grandi problemi del nostro tempo: perché nessuno – Rijneveld, l’editore, il giornale o la stessa Gorman – si oppone mai al cretinismo prevalente?”. 

   

 

Marías è stato molto criticato dopo questo articolo, così ne ha scritto un altro, sempre sul País, forse per mettersi ancora di più nei guai. Immaginiamo, scrive, se il veto fosse stato al contrario. “Cioè, un giovane poeta bianco americano sarà tradotto, in Olanda o altrove, da una donna nera. Le reti sono in rivolta. Il traduttore nero si dimette immediatamente. Tutto questo è inimmaginabile oggi. Ci sarebbe un putiferio. Il grido ‘razzismo’ risuonerebbe in tutto il pianeta. Accuse – giustificate – di suprematismo si susseguirebbero”. Marías dice che ora c’è un razzismo al contrario: “Una licenza per il razzismo sfacciato contro i bianchi, come se tutti noi di questa razza fossimo proprietari di piantagioni e punitori di schiavi, come se fossimo da biasimare per ciò che altri hanno fatto un secolo e mezzo fa e più. Questo razzismo è accettabile e buono in sé? A quanto pare sì. E anche lodevole, visto che non mancano i bianchi che si frustano per il colore della loro pelle, tale è la paura di essere etichettati come ‘razzisti’ se non ci si odia. Paragonata a tale autocritica, l’autocritica di Stalin nelle sue purghe è quasi benevola”.

 

Conclude Marías e speriamo che la sua sia la parola fine su questa grottesca vicenda: “Si arrabbino gli attuali inquisitori. Dato che non ho un account Twitter, non potranno bloccarmi. Forse potrei essere cacciato da questa pagina. Non importa, perché non vedo il senso di scrivere sulla stampa per evitare di dire la verità o solo per quello che molti scrivono: farsi belli”. Meno male che c’è ancora qualche scrittore che non si guarda allo specchio.
 

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.