pagina 69

In “Nova”, Bacà è troppo bravo per riempire la pagina di “disse, pensò”, e altro cascame

Mariarosa Mancuso

Dopo il riuscitissimo Benevolenza cosmica, il nuovo romanzo dello scrittore marchigiano ha il pregio di non essere autobiografico. Peccato per quei puntini di sospensione

Fabio Bacà entra tra i sette romanzieri candidati allo Strega 2022 dopo il riuscitissimo Benevolenza cosmica (Adelphi, 2019). Era un raro esemplare di fiction, non nel senso della tv italiana ma della storia inventata. Ambientato a Londra, dove lo scrittore confessava di non essere mai stato – e però immaginava una scrittrice dotata di “talento perverso per l’intreccio” ma scarsa nella caratterizzazione dei personaggi. Rimedio: interrogare molta gente, fingendosi cliente o collega, e fare incetta di dettagli. Il marito Kurt O’Reilly era invece schifosamente fortunato (rarissimo romanzo recente in cui l’eroe va dal medico e non riceve una diagnosi fatale).

Ecco gli altri "carotaggi":

 

Finalista anche al premio Campiello, Nova racconta il neurochirurgo Davide. Vale come pregiudizio positivo: Fabio Bacà non ha studiato neurochirurgia. Siamo talmente sopraffatti dalle autobiografie, dichiarate o appena camuffate, che appena qualcuno frappone un personaggio tra sé e il lettore ci sentiamo sollevati. Vale anche per la narrativa quel che diceva Alexandre Dumas del matrimonio: per farlo funzionare, meglio essere in tre.

A pagina 69 (quella che secondo Marshall McLuhan bisogna andare a leggere, noi malfidenti che disprezziamo i risvolti di copertina) è appena successo un incidente stradale. Niente di grave, sembra. L’ambulanza arriva e scopriamo che l’incidente ha salvato il protagonista da una spiacevole esperienza, sempre su strada, ben più minacciosa. Il neurochirurgo Davide si interroga sulla rabbia, sulle sue possibili reazioni, sulla possibilità di risolvere la questione pacificamente (sa bene che l’automobilista dentro il suo guscio ha reazioni che altrove non avrebbe; o forse no, basta leggere gli insulti che girano sui social per quel che una volta valeva come “futili motivi”).

Piano B, qualcosa gli suggerisce che la risoluzione pacifica non sarebbe stata così facile: “Gli avrebbe offerto dei soldi? Lo avrebbe implorato di non fargli del male? Si sarebbe inginocchiato? Gli avrebbe parlato del figlio tredicenne, di sua moglie, dei suoi anziani genitori?”.  Ma se il rivale stradale “avesse incominciato a … picchiarlo?”. Puntini e corsivo non sono tecniche da campione della scrittura – ma siccome il pensiero appartiene al personaggio, sono meno gravi (ma si potevano tranquillamente togliere, con uguale effetto drammatico). Il resto della pagina è pulito, ben scritto usando gli a capo, una sola parola che attira l’attenzione: “Tecnoidiozia” (Simenon usava il francese di base, ed è un grande del Novecento). Ma anche questa parola potrebbe appartenere al personaggio. Bacà è troppo bravo per riempire la pagina di  “disse, pensò”, e altro cascame: i commenti del narratore e i pensieri del personaggio sfumano gli uni negli altri.

“Davide era geneticamente inabile alla violenza / Gli ripugnava”. Così finisce, a meno di un paio di righe, la pagina 69. Qualcosa suggerisce che la dichiarazione di non violenza abbia in Nova il ruolo della pistola di Cechov. Uno snodo decisivo. Viene voglia di sapere quale sarà.

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